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Questo articolo è stato pubblicato il 22 novembre 2012 alle ore 06:50.
L'ultima modifica è del 22 novembre 2012 alle ore 08:24.

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Mentre nei convegni in giro per l'Italia non si parla altro che di smart cities, di laboratori urbani che reinventano l'industria e la crescita, di territori densamente antropizzati trasformati in milieu innovateur, mentre, quindi, un diluvio di concetti e parole incorona la città intelligente, qualche giorno fa, gli Stati generali della cultura del Sole e il rapporto Doing Business 2013 hanno messo in luce alcune rughe e piaghe, vecchie e nuove, che corrompono la bellezza colorita e spesso trasandata delle città italiane. Sono avvelenate da congestione urbana, ma anche afflitte da procedure lunghe, inefficienti e costose per chi vuol fare impresa, (permessi edilizi, dispute commerciali ecc.). Gli Stati generali della cultura del Sole hanno sottolineato che nelle nostre città, debordanti di opere e vestigia mitiche, abbiamo fatto ben poco per valorizzare il patrimonio del passato: non riusciamo a resuscitarlo perché non siamo nelle condizioni d'interpretarlo e incarnarlo con la nostra produzione culturale odierna. Il risultato più frequente sono piccole e grandi città museo, mentre il patrimonio artistico e scientifico delle città andrebbe valorizzato in funzione di crescita e sviluppo. Doing Business ci rimprovera che facciamo anche meno per rendere più competitive le nostre tredici città più grandi. È grave in tempi globali di economie in cerca di città intelligenti e di città in cerca di economie che consentano di rendere meno precaria la loro metamorfosi economica sollecitata dall'avvento del postmoderno, che Lyotard definiva come declino dei valori costitutivi della modernità. In Italia, la sottovalutazione del patrimonio artistico culturale si sposa con una scarsa consapevolezza delle nostre élite urbane circa l'importanza delle città nella storia europea e per l'economia contemporanea. Già Hegel sosteneva che «solo la città moderna offre allo spirito il terreno per prendere coscienza di sé» e altri classici, come Weber e Sombart, hanno visto nelle città l'alveo in cui si sviluppa lo spirito del capitalismo in Europa. L'epoca moderna è delle città: storia ed economia hanno qui il loro motore. Del resto, gli europei residenti in città con più di 20.000 abitanti erano un terzo nel 1920, mentre oggi sono più di due terzi. Più di metà degli europei vive in città con oltre 100.000 abitanti. Produttori di conoscenza e innovazione, le città, in particolare quelle con oltre un milione di abitanti, hanno un Pil mediamente superiore del 40% a quello del proprio Paese. Dunque, le città nella cultura europea sono importanti per motivi demografici, economici e per il capitale sociale di global networking che esprimono.

Con l'avvento della società postmoderna, le vecchie città industriali si sono trasformate in grandi aggregati di servizi: a Londra, Parigi, Berlino, Madrid e Roma, almeno quattro posti di lavoro su cinque. Nel nostro Paese è stato fatto poco per accompagnare con "intelligenza" questa metamorfosi e far fronte alla accresciuta competizione fra gli scenari urbani, fra aree urbane funzionali (es. i porti) almeno a scala europea. La progressiva autonomia governativa delle città non è stata accompagnata con misure riguardanti gli aspetti competitivi (accessibilità, ricettività, innovazione tecnologica, ecc.) e quelli di vita e di lavoro (ambiente, cultura, welfare, ecc), come invece è avvenuto per alcune città strategiche europee. In Spagna, Barcellona, Bilbao e Valencia si sono inserite ad alti livelli nei sistemi formativi superiori europei. Nel Nord Europa, città come Goteborg e Glasgow hanno spinto in direzione della città creativa, ricca d'offerta culturale. In Germania, città come Dresda, Dusseldorf e Stoccarda valorizzano efficacemente il loro patrimonio artistico, culturale e ambientale. In Italia, neppure la prospettiva della creazione di città metropolitane ha smosso un panorama urbano e provinciale, che solo in alcuni casi si salva per merito di comunità impegnate in best practices.

La città metropolitana fu per la prima volta prevista nel lontano 1990 (legge 1423) e solo recentemente è stata riesumata dalla spending review del governo Monti (legge 135) che, oltre ridurre le province, istituisce le città metropolitane di Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria; ma solo dal 1° gennaio 2014.
Il sonno più che ventennale conosciuto da questo nuovo ente amministrativo, che riguarda le aree vaste urbanizzate e cresciute in coalescenza attorno alle nostre città, dimostra il ritardo italiano nell'affrontare la questione delle città strategiche, il suo sfarinamento in piccole opere concesse a pioggia per sedare le gelosie muncipaliste. Le città metropolitane, che in Italia racchiudono quasi il 40% del Pil e circa un terzo delle imprese e degli addetti, potenzialmente possono costituire un acceleratore dell'economia del Paese; ma, come enti amministrativi sono tutti da definire, senza parlare dei fallimentari bilanci di alcuni grandi comuni. Come rendere "intelligente" ed efficace il governo delle nostre città è un grande tema italiano per entrare in Europa: riguarda la capacità delle nostre classi dirigenti urbane di tenere assieme la competizione, la qualità delle condizioni di vita e di lavoro, la valorizzazione della cultura e del patrimonio senza che la tradizione fagociti il presente lasciando le nuove idee fuori dalla porta.

c.carboni@univpm.it

LA COSTITUENTE

L'iniziativa.
Gli Stati Generali della Cultura si sono tenuti al Teatro Eliseo di Roma giovedì 15 novembre con la partecipazione del Capo dello Stato Giorgio Napoletano. Hanno partecipato oltre 8mila persone. L'evento è stato una iniziativa del Sole 24 Ore, promossa con Accademia dei Lincei ed Enciclopedia Treccani. L'iniziativa è stato l'ultimo atto di un processo lanciato dal Sole 24 Ore Domenica del 19 febbraio con il Manifesto per la Cultura che si è posto l'obiettivo di valorizzare cultura, patrimonio storico-artistico come motore di crescita.

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