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Questo articolo è stato pubblicato il 25 novembre 2012 alle ore 14:30.
L'ultima modifica è del 25 novembre 2012 alle ore 14:45.

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Sono evenienze - sia chiaro - che accadono anche nelle democrazie evolute come la nostra e come quelle che ci sono vicine. E per questo, quindi, non c'è alcun bisogno di recarsi nei Paesi di democrazia incerta o nascente per trovare esempi di modifiche dei congegni elettorali, come quelle che il Codice intende contrastare. Basti pensare che il più noto tra i fenomeni di alterazione del diritto elettorale in zona Cesarini è quel "gerrymandering", nato e cresciuto negli Stati Uniti. Il gerrymandering risale al governatore di fine Settecento del Massachusetts, Elbridge Gerry, il quale ridisegnò i distretti elettorali lungo confini pieni di curve, per mettere insieme le zone dove i suoi elettori erano più numerosi. Di qui i distretti-salamandre ("gerrymandre"), che anche altri dopo avrebbero fatto.

Ancora più vicino a noi è il caso del Presidente francese François Mitterrand, preoccupato nel 1985 di perdere la maggioranza alle elezioni parlamentari dell'anno dopo. In Francia c'era già allora un sistema maggioritario, che penalizzava fortemente la destra di Le Pen a beneficio dei neo-gollisti. Ebbene, guidata da Mitterrand, la maggioranza socialista votò nell'ultimo anno della legislatura il passaggio a un sistema proporzionale, con l'aspettativa che la destra di Le Pen sottraesse ai neo-gollisti un numero di seggi sufficiente a impedire loro di diventare maggioranza. Le cose poi non andarono così e Jacques Chirac, vinte le elezioni per l'Assemblea nazionale, riportò la Francia al maggioritario.

Gli esempi potrebbero essere ancora molti, ma bastano questi a dimostrare che cose come quelle che il codice del Consiglio d'Europa vuole evitare possono anche capitare dalle nostre parti. Ma è di questo che si tratta nel caso italiano di oggi? Suvvia, lo sappiamo benissimo che il nostro caso è del tutto diverso. Il Consiglio d'Europa punta ad impedire gli abusi dei partiti e da noi abuso dei partiti è proprio la legge che dovremmo cambiare.
Da chi è venuta la spinta alla riforma, forse dai partiti che detengono oggi la maggioranza e non la vogliono perdere? No, è venuta da un'opinione pubblica che in mille occasioni e da tempo ha espresso addirittura indignazione per liste bloccate che impediscono ai cittadini di scegliere fra i candidati.

Ed è venuta dalla Corte Costituzionale, che nelle sentenze n. 15 e 16 del 2008, trovatasi davanti la legge elettorale in un giudizio avente ad oggetto l'ammissibilità di un referendum e nel quale, quindi, non era abilitata a valutarla sul piano costituzionale, ha scritto: «L'impossibilità di dare un giudizio anticipato di legittimità non esime questa Corte dal dovere di segnalare al Parlamento gli aspetti problematici di una legge che attribuisce un premio di maggioranza, senza che sia raggiunta una soglia minima di voti e/o di seggi». Di qui, infine, le sollecitazioni dello stesso presidente Napolitano, che ha ripetutamente ricordato questo avviso della Corte e ha invitato il Parlamento a dargli corso.

Il caso dunque è totalmente estraneo a ciò che il codice del Consiglio d'Europa intende vietare. Tant'è vero che, se siamo entrati nell'ultimo anno della legislatura senza riforma, lo dobbiamo solo alle resistenze dei partiti, non in nome della democrazia e del bene comune, ma in nome ciascuno dei propri interessi. E se la vecchia maggioranza, certa di non esserlo più, si adopra perché nessuno arrivi a formarne un'altra, rendiamoci conto che la legge esistente è peggio di quella che nel 1925 portò alla maggioranza il fascismo (e che almeno prevedeva una soglia del 25%) e del codice del Consiglio d'Europa viola così i principi basilari e fondanti.
E allora togliamo per favore questo argomento dal tavolo. Non creiamo la falsa immagine di un capo dello Stato inopinatamente antieuropeo. E non forniamo alibi a un Parlamento incerto che potrebbe lasciarci nel pantano in cui siamo.

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