Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 30 novembre 2012 alle ore 08:10.
L'ultima modifica è del 30 novembre 2012 alle ore 08:37.

My24

La Palestina conquista all'Onu il diritto di passare da «entità osservatrice» a «Stato osservatore»: un piccolo ma contrastato passo verso la piena indipendenza. Come la grande maggioranza dell'Assemblea generale, insieme a molti europei anche l'Italia ha votato a favore. In un conflitto che continua da più di un secolo nessuno dei suoi protagonisti può rivendicare di essere sempre stato dalla parte della ragione. Tutti hanno avuto il tempo di recitare almeno una volta il ruolo di vittima e persecutore; ognuno di aver promosso una soluzione e di averla ostacolata; di aver ucciso civili o di averlo impedito.

Ma una cosa è evidente da ben 45 anni e mezzo: uno dei due attori della grande tragedia è l'occupante, l'altro l'occupato. È questa constatazione che spiega la grande maggioranza di Paesi a favore dello status di "membro osservatore", finalmente concesso alla Palestina. Secondo il regolamento dell'Onu sarebbero bastati 97 voti, la maggioranza più uno dell'Assemblea generale. È stata invece una valanga, accresciuta dal numero degli astenuti fino a ieri favorevoli invece a Israele.

C'erano evidentemente i noti nemici e le dittature di un terzomondismo piuttosto superato. Ma, come diceva un funzionario del Governo, ieri Israele ha anche «perso l'Europa». È innegabile che il Governo italiano sia amico d'Israele, eppure ha votato sì; tutti hanno visto quanto Germania e Olanda, pur essendo sempre state dalla parte d'Israele, siano state fino all'ultimo tormentate nella scelta.

«Nessuna decisione dell'Onu può rompere il legame di 4mila anni fra la Terra d'Israele e il suo popolo», minaccia Bibi Netanyahu. La grandissima maggioranza delle nazioni riconosce questo diritto, compresa ormai la maggioranza dei palestinesi e dei Paesi arabi. Non è vero che Israele è un Paese circondato e minacciato. Eccetto l'Iran khomeinista, Hezbollah, Hamas e al Qaeda nessuno mette in dubbio il diritto alla sicurezza di Israele. Il problema è definire nel XXI secolo i confini della terra biblica rivendicata da Netanyahu. Nessun Governo ha mai indicato le frontiere del moderno Israele. Abu Mazen lo ha fatto, proponendo quella precedente alla guerra dei Sei giorni del 1967. Non come mantra ma come base di trattativa: agli arabi il 25% della vecchia Palestina mandataria inglese, agli ebrei il 75. È un'equa spartizione che riconosce anche gli errori storici compiuti dagli arabi.

A Netanyahu non basta nemmeno questo. Se l'attuale Governo israeliano di estrema destra ha una visione di Stato palestinese, questo sono le città della Cisgiordania isolate le une dalle altre, come bantustan circondati da colonie e posti di blocco militari. Le ragioni di Israele sono molte, ma quelle proposte dal suo attuale Governo non convincono più gli amici, nemmeno i più sinceri. La mossa di Abu Mazen non esclude la ripresa della trattativa diretta, come dice Netanyahu: al contrario, la vuole promuovere. «Non c'è ragione che Israele vi si opponga», dice anche l'ex premier Ehud Olmert: «Dobbiamo dare una mano per incoraggiare le forze moderate».

Se Hamas continua la sua personale guerra di liberazione, l'Autorità palestinese della Cisgiordania invoca da anni un compromesso pacifico che il Governo israeliano ha sempre ignorato. E questo è un altro punto forte del voto così massiccio all'Onu: sarebbe stato politicamente sciocco negare una richiesta fatta pacificamente, rispettando le regole del massimo consesso mondiale, dopo che Hamas aveva vinto la sua partita a Gaza lanciando razzi su Israele.

È vero che per riprendere il negoziato Abu Mazen aveva posto una precondizione: il congelamento delle colonie. Ma gli israeliani ne avanzavano di nuove ogni volta che il dialogo sembrava riprendere: i palestinesi devono dichiarare la fine del conflitto, i palestinesi devono riconoscere l'ebraicità dello Stato d'Israele, rinunciare all'accesso al Giordano, non avere un esercito, accettare il Muro e nonostante questo i raid in Cisgiordania degli israeliani, concedere i diritti pretesi per i coloni e cedere quelli della popolazione palestinese.

Infine non è del tutto vero che diventando Stato "membro osservatore", come il Vaticano, i palestinesi avranno accesso alla Corte internazionale di giustizia dell'Aja dove potrebbero chiedere l'incriminazione di Israele: posto che lo vogliano percorrere, è un processo complesso che può facilmente fallire. L'ultimo aspetto che spiega il voto a super maggioranza che mette in allarme Israele e umilia gli Stati Uniti, è l'irrilevanza della questione. Bibi Netanyahu dice che sul campo non cambia nulla. Lo sanno anche i palestinesi. Quella di ieri a New York non è stata una giornata storica, si è solo ratificato un atto dovuto. È stato finalmente concesso quello che chiedeva da tanti anni un vecchio professore palestinese di Harvard, Walid Khalidi: «Una modica quantità di giustizia».

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi