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Questo articolo è stato pubblicato il 06 dicembre 2012 alle ore 08:00.

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C'è un aneddoto che dice molto sull'uomo, ma anche sul suo pensiero. Quando era presidente della Repubblica, al termine di una cena al Quirinale, Luigi Einaudi chiese ai commensali se ci fosse qualcuno disposto a mangiare la sua mezza pera, altrimenti non l'avrebbe avviata.

Rigore e rispetto della cosa pubblica, tratti distintivi della tradizione liberale italiana, un filo rosso che nel dopoguerra non si è spezzato pur dentro la trame di una politica che troppo spesso ha guardato poco al bene comune. Ma a tenere alta la bandiera di questa tradizione c'è stata sempre la Fondazione Luigi Einaudi, che in questi giorni festeggia i 50 anni dalla fondazione. Per l'evento è stato organizzato il convegno internazionale "Valorizzare la memoria, produrre innovazione", sul ruolo delle Fondazioni culturali nel XXI secolo. Un tema chiave per l'Italia, messo in luce dai recenti stati generali della cultura organizzati dal Sole 24 Ore, che hanno visto la partecipazione del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che proprio all'anniversario della fondazione ha concesso il suo alto patrocinio.

Lungo l'elenco dei borsisti che la Fondazione Einaudi negli anni ha aiutato nel perfezionamento degli studi: vincitori tra gli altri sono stati Mario Monti e Fabrizio Barca, ma anche i banchieri Andrea Beltratti e Enrico Tommaso Chucchiani di IntesaSanpaolo, e Gabriele Galateri, presidente di Generali. E Anna Maria Taramtonla, presidente della Rai da qualche mese dopo aver speso quaranta anni in Banca d'Italia dove aveva raggiunto - la prima volta per una donna - la carica di vice direttore generale. «La mia famiglia era di condizioni modeste, senza la borsa non avrei mai potuto completare gli studi alla London School of Economics, studiando con premi Nobel e formandomi nel carattere. É di questo che i nostri giovani hanno bisogno: qualcuno che creda in loro e investa in loro». E Tarantola, che presiede la più grande industria culturale del paese, ha ribadito come proprio dalla crescita della cultura veramente liberale si creano le condizioni dì una sana governance che rende efficace l'azione delle fondazioni culturali.

«La Rai deve dare una grande attenzione a questo mondo, è in questo che risiede la missione di servizio publico: il lavoro profondo sul capitale umano e sociale. É una priorità della televisione, quella dell'educazione e la formazione dei cittadini». Parole che richiamano la tesi di uno dei giganti del pensiero liberale, Karl Popper, sulla televisione "cattiva maestra". «Troppo spesso la tv abdica al suo ruolo di educazione, che deve andare oltre e integrarsi con la corretta informazione». Terreno fertile per le fondazioni culturali, che nella tv pubblica - a partire dal canale Rai Educational - possono trovare un sponda per la realizzazione dei loro programmi.
Al convegno è intervenuto a testimoniare la sua esperienza anche Giuseppe Vegas, presidente della Consob e anche lui con un passato alla Einaudi come direttore scientifico. Un'esperienza di ricerca a tutto campo su temi che poi hanno segnato la politica economica (a partire dalle privatizzazioni) o che stanno tuttora investendo il mondo politico (i sistemi elettorali). Insomma, un lavoro di studio e ricerca su un disegno di rinovamento che «non si è mai realizzato».

Il presidente della Fondazione, Mario Lupo, ha ricordato l'importanza e l'utilità della cultura nel mondo contemporaneo, che proclama il primato della conoscenza in ogni comparto dell'attività umana e della stessa economica. E un richiamo, a proposito di spending review: «Anche per quanto attiene agli orientamenti della politica, se il governo, adducendo la recessione, lesina risorse, il presidente della Repubblica gli ricorda che la spesa per investimenti in innovazione, ricerca e formazione non può essere tagliata perchè le sole chance di far riprendere al nostro paese un cammino di sviluppo e di crescita passano per questtre tre strade obbligate». E infatti Roberto Einaudi, nipote del fondatore, denuncia il taglio del 50% dei contributi pubblici (e anche quelli privati) a sostegno delle fondazioni, che ora rischiano di chiudere in gran numero.

«L'Italia deve aprirsi alle esperienze internazionali, innovare, trovare nuovi finanziamenti, accorpare le strutture, ma anche lo Stato deve fare la sua parte: è ora che i contributi vengano detassati». E all'estero? In Germania, per esempio, la diffusione della Fondazioni, perlopiù culturali, è enorme: ce ne sono ben 20mila, godono di grande popolarità e sono raddoppiate in dieci anni. Per la loro vita se ne fa carico per il 94% lo Stato, ha detto Tobias Henkel, della Stiftung Braunschweigischer, fondazione dedicata ai beni culturali che esiste da ben 443 anni. E Valerio Zanone, storico leader liberale, nel suo contributo al libro pubblicato per l'occasione ricorda: «Negli anni in cui la denominazione liberale era sottoposta da ogni lato a un processo inflativo destinato a vanificarne il titolo, il ristretto sodalizio della fondazione si arroccò sulla regola einaudiana di offrire un luogo di libera discussione a quanti fossero disposti a lasciare in corridoio gli schematismi preconcetti per misurarsi su analisi razionali».

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