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Questo articolo è stato pubblicato il 07 dicembre 2012 alle ore 07:46.

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Il bambino brasiliano che cento anni fa disegnava «senza matita e senza foglio, in aria, con una mano alzata», in una casa coloniale della Rua das Laranjeiras, e che poi con la stessa fantasia ha segnato e stupito profondamente la storia internazionale dell'architettura, è morto ieri notte nella sua città natale, Rio de Janeiro.

È tramontato, nell'epoca delle archistar, il sole dell'architettura presente, Oscar Niemeyer, il "padre di Brasilia", il poeta del cemento armato, l'avveniristico interprete di un riconosciuto "grado zero" del linguaggio architettonico moderno, il più longevo comunista del Novecento, l'infaticabile intellettuale che riuniva ancora ogni martedì, nel suo studio di Copacabana, amici e colleghi per fare il punto sul mondo odierno e divulgarlo poi con la rivista Nosso caminho.
Un "mondo ingiusto", secondo Niemeyer, da quanto si legge in una recente pubblicazione (Oscar Niemeyer, Il mondo è ingiusto, Mondadori, 2012), ma non senza salvezza: è questa la chiave di lettura, la luce tra le pagine, la speranza dell'«ultima lezione di un grande del nostro tempo» agevolmente offerta al lettore grazie ad una raccolta di interviste e dichiarazioni curata da Alberto Riva. E quella speranza è nella fantasia, sostrato di ogni durevole azione umana, perché «la fantasia è la ricerca di un mondo migliore», afferma Niemeyer che ha diviso la sua vita tra architettura e politica, e proprio con questi due impegni ha reso il suo servigio al mondo delle arti e al suo Brasile.

Dai capitoli emerge infatti la visione lucida di chi, vivendo più di un secolo - in un secolo non facile - ha sempre tenuto fermi in mente l'impegno civile quanto la ricerca della bellezza, con un comune sottinteso morale che guarda costantemente all'umanità, con i suoi slanci e le sue fragilità, le sue possibilità e le sue sconfitte, non senza saudade.
Plastiche, espressioniste, libere, evocative, carismatiche, attualissime: le architetture (pubbliche e private) di Niemeyer hanno impartito lezioni anno dopo anno, nazione dopo nazione (nel 1988 ha ricevuto l'ambito Premio Pritzker). Venticinquenne entrò nel gruppo di lavoro di Lucìo Costa, nel 1939 lo affiancò per il fortunato Padiglione Brasiliano della Fiera Internazionale di New York dove, otto anni dopo, collaborò con Le Corbusier al progetto del Palazzo delle Nazioni Unite. In Brasile, intanto, lo avevano reso famoso gli edifici progettati intorno al lago di Pampulha. Con Costa è stato impegnato ancora nella progettazione dello storico complesso di Brasilia, grazie all'intesa col presidente Juscelino Kubitschek, a partire dal 1956, ma con il golpe del '64 fu costretto a vivere e lavorare all'estero più che in patria. Sono nate così in Francia la sede del Partito Comunista di Parigi (1968) e il Centro Culturale di Le Havre (1972), esempi di un'instancabile forza progettuale che ha continuato ad accompagnare Niemeyer fino a ieri, si potrebbe dire: pensiamo ad esempio al Museo di Arte Contemporanea di Niteroi (1991), al Centro Amministrativo del Minas Gerias a Belo Horizonte (2003), oppure, in Spagna, al Centro Culturale di Avilés (2011).

In Italia bastano le dita di una mano per contare le sue opere, compresa l'ultima per datazione, l'Auditorium di Ravello (2010), sensuale architettura affacciata sul mare angustiata da polemiche; ma è proprio una di queste opere, secondo lo stesso Niemeyer, il suo progetto "eseguito al meglio", confessione riportata nel libro e già resa a caldo all'ingegner Giorgio Calanca, con lui nella squadra che, col committente Giorgio Mondadori e con l'architetto Luciano Pozzo, ha portato a compimento quel capolavoro che è il Palazzo Mondadori di Segrate (1975), del quale spicca il corpo principale vetrato agganciato ad una struttura portante che diventa una scenica sequenza di archi di luce diversa sospesa sull'acqua, magistrale architettura che richiama il sapore del Palazzo di Itamaraty a Brasilia.
Il tempo è stato generoso con Niemeyer; chi lo saluta oggi, saluta quella genialità e quell'inventiva, quel modo di intendere l'architettura, quella capacità di esprimere in piena libertà tutti i ritrovati dell'architettura moderna, di cui volle scrivergli, ammirandolo già nel 1961, il suo amico Le Corbusier.

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