Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 20 dicembre 2012 alle ore 07:10.

My24

Le chiusure degli stabilimenti PSA a Aulnay, Ford a Genk e di diversi impianti Iveco in Europa sono emblematiche delle gravissima crisi che sta attraversando uno dei settori chiave dell'industria europea e delle pesanti ricadute per le Pmi dell'indotto, e per i lavoratori.

La crisi industriale non colpisce solo settori più tradizionali come l'automobile, la siderurgia o il tessile ma tocca ormai anche quelli emergenti quali le telecomunicazioni. In questo settore, delle otto aziende occidentali leader sui mercati da oltre un decennio, ora ne restano solo quattro. Nel frattempo le cinesi Huawei e Zte sono diventate dei giganti mondiali. Di fronte a questo declino, alcuni hanno ipotizzato l'avvento di un'Europa dei servizi che potrebbe benissimo fare a meno dell'industria. Sarebbe un'illusione. L'80% dell'innovazione avviene nell'industria cosi come il 75% dell'export Ue. Ogni posto di lavoro nell'industria manifatturiera ne crea due nei servizi.

Abbiamo bisogno dell'industria. E saremmo anche capaci di far tornare l'Europa un luogo davvero favorevole all'industria se solo avessimo, al posto di 27 politiche industriali nazionali, una vera politica industriale europea con strumenti adeguati e maggiore coerenza delle altre politiche.
Non va dimenticato che alle radici del progetto europeo vi è stata proprio la politica industriale! Sessant'anni dopo la Comunità europea del carbone e dell'acciaio, è ora di rinnovare l'impegno dei padri fondatori. Puntando sulla nuova rivoluzione industriale in atto con investimenti su tecnologie abilitanti fondamentali – nanotecnologie, micro e nanoelettronica, materiali avanzati, biotecnologie –, veicoli puliti, edilizia sostenibile, reti intelligenti, spazio.

Anche la difesa deve essere considerata settore strategico, sia per le considerazioni in termini di autonomia dell'Europa, sia per le ricadute industriali in innovazioni e competitività, come dimostrato da internet, dalle microonde, dal Gps e dalla diagnostica per immagini.
La nuova strategia di politica industriale, adottata dalla Commissione europea il 10 ottobre, mira a invertire il processo di deindustrializzazione con l'aumento della percentuale di Pil legata al manifatturiero dal 15.6 al 20% entro il 2020. Come raggiungere quest'obiettivo? Innanzitutto, incoraggiando l'innovazione. Questa settimana il brevetto europeo finalmente diventa realtà con ingenti risparmi per le imprese. Abbiamo anche proposto un passaporto europeo del capitale di rischio per migliorare l'accesso ai finanziamenti delle Pmi innovative. Poi, per fare in modo che le innovazioni si traducano in applicazioni concrete, bisogna che tutti i soggetti lavorino insieme. È questo l'obiettivo dell'Istituto europeo di tecnologia, che da due anni riunisce imprese, centri di ricerche e – per la prima volta – università e facoltà di ingegneria.

Questa capacità d'innovazione deve consentirci di sviluppare standard mondiali, com'è avvenuto negli anni Novanta con il Gsm, che per molti anni ha dato all'Europa un netto vantaggio sui concorrenti nel settore della telefonia mobile. Dobbiamo avere i mezzi per finanziare questi investimenti strategici, anche attraverso dispositivi di sostegno pubblico. Gli Stati Uniti, la Cina e la Corea lo fanno: perché non anche noi? A tal fine occorrerà proseguire l'adeguamento delle regole sugli aiuti di Stato affinché rimangano garanti dell'equità fra gli Stati membri pur consentendo un sostegno a ricerca e innovazione molto più vicino alle imprese e al mercato e con vere ricadute industriali.

Infine, le nostre industrie devono poter esportare i loro prodotti. Ne deriva la necessità, di proseguire le azioni di riforma per ridurre i gap di competitività delle nostre aziende, affrontando in particolare – ma non solo – la questione della produttività. Ma la nostra capacità di esportare dipende anche dall'apertura dei nostri partner commerciali ai prodotti europei. Non possiamo tollerare che da un lato l'Ue sia uno degli spazi commerciali più aperti del mondo e dall'altro le nostre imprese incontrino difficoltà per accedere ai mercati dei paesi terzi.

Nel settore degli appalti pubblici, nel marzo 2012 la Commissione ha proposto un regolamento che consentirà di imporre la reciprocità ai Paesi che non la applicano spontaneamente. E riteniamo necessario adottare anche altri due provvedimenti: stilare un bilancio qualitativo e quantitativo del costo arrecato all'Europa dal protezionismo degli altri Paesi; e creare un osservatorio degli investimenti stranieri in Europa, di cui abbiamo bisogno ma che non devono servire per trasferire know-how europeo all'estero o minacciare i nostri interessi fondamentali.

Nel 2013 avremo la possibilità di fare un dibattito sull'Europa che vogliamo. Auspichiamo una maggiore integrazione di bilancio, economica e politica? Vogliamo coinvolgere di più i cittadini in questa nuova unione? Noi ci impegneremo personalmente per dare alla politica industriale europea la rilevanza che merita in questo grande dibattito.

Antonio Tajani è Commissario europeo per l'industria e vicepresidente della Commissione Ue Michel Barnier è Commissario europeo per il mercato interno e per i servizi

Shopping24

Dai nostri archivi