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Questo articolo è stato pubblicato il 27 dicembre 2012 alle ore 06:52.
L'ultima modifica è del 27 dicembre 2012 alle ore 07:44.

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La lunga crisi dell'euro chiude l'anno all'insegna di una cauta speranza di avere finalmente girato l'angolo. Coloro che pronosticavano la fine imminente dell'euro si sono visti non solo smentiti dai fatti, ma anche penalizzati nel portafoglio. Vi è nel contempo però anche chi canta prematuramente vittoria e pensa di poter allentare l'impegno. Si dovrà al contrario rafforzarlo e proseguire sulla strada intrapresa. Non solo verso l'unione bancaria e gli altri impegni a lungo termine, ma anche nella gestione delle sfide a breve che attendono il fondo anti-crisi Esm nell'anno a venire. Il 2013 sarà il primo anno completo di attività per il nuovo fondo e il suo vero primo esame sul terreno.
L'esame non riguarda, questa volta, la Grecia, dove l'accordo recente - pur se non risolutivo - dovrebbe aver almeno rinviato la questione oltre l'anno. Altri sono i problemi pressanti per l'Esm nel 2013. Sono essenzialmente quattro, e riguardano rispettivamente Cipro, l'Irlanda e il Portogallo, la Spagna, e infine anche l'Italia (assieme, di nuovo, alla Spagna).

A Cipro, dove si negozia da mesi, il Paese è alla bancarotta, costretto a ricorrere a prestiti dai fondi pensione di imprese pubbliche per coprire la spesa corrente. Si pone qui con forza la questione di come evitare che un maxi-prestito per salvare le banche (forse pari al 100% del Pil) riproponga i problemi già visti in Grecia: un livello di debito insostenibile e una presenza sproporzionata dei creditori ufficiali. Sorge quindi, dall'inizio, l'esigenza di coinvolgere il settore privato nel salvataggio. Vi è però il rischio che questo non venga fatto in modo sufficiente, necessitando (come in Grecia) un'eventuale ristrutturazione anche del debito verso i creditori pubblici. Quanto è stato evitato durante i circa 60 anni di prestiti anti-crisi internazionali - e cioè perdite a danno dei creditori ufficiali (eccezion fatta per il debito cancellato ai paesi più poveri) - si ripresenterebbe in un breve arco di tempo all'interno della zona euro. Sarà quindi essenziale coinvolgere in misura adeguata i creditori privati, chiudere le banche non solventi, e limitare per quanto possibile il rischio assunto dal settore pubblico. Sul tema, varie fonti indicano divisioni tra Fmi ed europei all'interno della troika, simili a quelle sorte nel caso greco.

Che la troika sia una struttura gestionale difficile lo si vede anche nel caso dell'Irlanda. Qui colpisce il tono, insolitamente duro verso l'Europa, dell'ultimo rapporto Fmi sul Paese. Mentre la tradizione vuole che le divergenze di vedute tra istituzioni vengano espresse in toni felpati, il rapporto rilasciato dall'Fmi il 19 dicembre non si tira certo indietro. Afferma con forza che l'Irlanda ha fatto la sua parte e che le prospettive per un suo ritorno ai mercati nel 2013 dipendono ora in maniera critica dal «compimento rigoroso degli impegni europei» verso il Paese. L'Fmi insiste che l'Europa rispetti la promessa fatta a fine giugno 2012 di assicurare la sostenibilità del programma, e che lo faccia tramite una partecipazione azionaria diretta dell'Esm nelle banche in difficoltà. L'Europa, per ora, si rifiuta, rifugiandosi in distinguo tra debiti regressi (legacy debt) e debiti futuri, tra responsabilità degli Stati e della Bce, tra ciò che è possibile fare ora e solo quando vi sarà un supervisore unico, e via dicendo. Intanto, si nega all'Europa la possibilità di vantare il primo caso di successo di un programma: la prima "success story" della crisi. Una situazione per certi versi analoga si presenta anche in Portogallo, che richiede invano termini finanziari che ricalchino almeno in parte quelli concessi alla Grecia.

Anche in Spagna si pone l'esigenza di un intervento diretto dell'Esm nella ricapitalizzazione delle banche, ben prima che vi sia un supervisore unico. Sebbene tutti riconoscano che ciò sia essenziale per tagliare il cordone ombelicale tra crisi sovrana e crisi bancaria, anche qui si rimanda e si sottovaluta il problema, con rischi severi.
Infine, il caso dell'Italia - assieme a quello della Spagna - ha evidenziato lacune nel modus operandi dell'Esm. Infatti, nessuno dei due Paesi - nonostante rischi politici evidenti nel prossimo futuro - ha scelto di avviare le procedure necessarie per attivare, se del caso, gli acquisti di titoli da parte della Bce (Omt). Tale riluttanza sorge dall'incertezza sulla condizionalità legata al meccanismo precauzionale dell'Esm richiesto dalla Bce per i suoi interventi. Senza tale chiarezza, che andrebbe stabilita al più presto dagli organi direttivi dell'Esm, le operazioni Omt resteranno "virtuali" e il loro effetto benefico sui mercati a rischio di sbiadire con il tempo.
Certo, per il successo a lungo termine del progetto euro si dovrà proseguire sul cammino dell'integrazione. Ma senza una soluzione positiva dei casi specifici che si presentano all'Esm sin dall'inizio dell'anno nuovo, i brindisi di San Silvestro - per quanto giustificati - potrebbero presto lasciare un certo amaro in bocca.

alessandro.leipold@lisboncouncil.net

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