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Questo articolo è stato pubblicato il 27 dicembre 2012 alle ore 06:48.
L'ultima modifica è del 27 dicembre 2012 alle ore 07:39.

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Ancora una volta il Giappone, che ieri ha visto l'insediamento del nuovo premier liberal-democratico Shinzo Abe, si è rivelato stupor mundi. A meravigliare l'opinione pubblica internazionale non è stata qualche conquista straordinaria, ma il fatto che nelle prime elezioni politiche dopo la crisi di Fukushima la questione dell'energia non è andata al centro della campagna elettorale; ancora più stupefacente, per molti, è stato un responso delle urne che ha dato la stragrande maggioranza allo schieramento pro-nucleare che non fa mistero di voler archiviare le linee strategiche a lungo termine varate con difficoltà dall'ultimo governo indirizzate verso l'opzione zero sull'energia atomica entro la fine degli anni Trenta. Così la settimana successiva alla domenica elettorale è iniziata in Borsa con un balzo del 33% (al limite massimo consentito, e +17% il giorno dopo) delle azioni di Tokyo Electric Power, l'utility che gestisce la centrale di Fukushima Daichi, dichiarata dal governo "sotto controllo" nove mesi dopo il disastro e che richiederà decenni e svariati miliardi di euro per essere decommissionata. Nel mondo i titoli delle società legate all'uranio si sono anch'essi apprezzati per la percepita riduzione del rischio di ulteriori pressioni negative sui prezzi.

Ci sarebbero state tutte le premesse perché nell'ultima settimana prima delle elezioni il tema dell'energia nucleare tornasse in primo piano. Solo sei giorni prima, una commissione di esperti nominati dal governo era giunta alla clamorosa conclusione che un reattore nucleare nei pressi del lago Biwa, non lontano da Kyoto (quello di Tsuruga gestito dalla Japan Atomic Energy) sta probabilmente proprio sopra una faglia sismica attiva: una scoperta che potrebbe portare al primo decommissionamento di un reattore per specifiche ragioni legate al rischio di terremoto. Proprio a cavallo delle elezioni, inoltre, a Koriyama (provincia di Fukushima), si è tenuto un importante convegno internazionale di tre giorni (Fukushima Ministerial Conference on Nuclear Safety) sul tema della sicurezza nucleare, al quale i media hanno dedicato una copertura modesta, anche se superiore a quella offerta sui rally organizzati da partiti e associazioni antinucleari davanti alla Dieta. Nell'occasione, proprio il giorno prima del voto, l'Agenzia internazionale del'Energia Atomica si è accordata su una serie di progetti, tra cui la creazione di un database internazionale sui rischi post-incidenti nucleari. Il direttore dell'Aiea Yukiya Amano ha ammesso che occorreranno molti anni per avere una completa comprensione di quello che è accaduto a Fukushima: nel frattempo si devono «attuare tutti i miglioramenti possibili alle misure di sicurezza per evitare che incidenti di questo tipo si ripetano».

«Non c'è dubbio che la maggior parte dei votanti abbia voluto soprattutto punire il Partito Democratico per i tre inconcludenti anni di governo iniziati tra grandi aspettative - afferma Robert Dujarric, esperto di studi asiatici alla Temple University di Tokyo – Molti che hanno votato per i liberaldemocratici non si sono nemmeno messi particolarmente al corrente della loro piattaforma programmatica. Anzi, le aspettative su un governo Abe erano estremamente basse». A parere di Dujarric, Abe, se furbo, saprà aspettare l'occasione favorevole per promuovere una ripresa dell'energia nucleare: «Per esempio, se si dovesse aggravare la crisi internazionale provocata dal programma nucleare iraniano e i prezzi del petrolio dovessero impennarsi, allora il nuovo governo avrà più buon gioco nel pianificare la riattivazione di vari reattori con l'argomento dell'eccesso degli oneri per l'importazione di energia e i conseguenti rischi generali sull'economia». Così Abe aggirerebbe gli argomenti ideologici ponendosi sul più sicuro terreno dell'argomentazione-chiave a favore del nucleare: che sia necessario, come lo è stato in passato, come fonte stabile e a costi ragionevoli dell'energia necessaria a promuovere la crescita economica.

Secondo Junichi Sato, responsabile di Greenpeace in Giappone «il Partito Liberademocratico (Ldp) non ha affatto ricevuto un mandato per la sua posizione pro-nucleare», ma si è solo avvantaggiato delle delusioni sul governo presso elettori che restano per lo più "anti-nukes"; quindi l'Ldp «deve ascoltare la stragrande maggioranza degli elettori e impegnarsi su efficienza energetica ed energie rinnovabili, per consentire alla nazione di uscire dal nucleare. E rafforzare la regolamentazione e l'accontability delle utility». Forse Sato esagera, eppure gli analisti politici sono quasi unanimi nel ritenere che il popolo abbia votato anzitutto contro il Pd; poi, semmai, per i piani di stimolo economico attraverso nuova spesa pubblica dell'Ldp, senza dare un endorsement specifico sul nucleare.

L'attesa della Federazione delle utility elettriche, come chiarito dal suo presidente Makoto Yagi, è che il governo Abe delinei una nuova politica energetica, senza perdere troppo tempo nel riattivare altri impianti nucleari, dopo i due rimessi in funzione a luglio dall'esecutivo dell'ex premier Yoshihiko Noda, che aveva ceduto alle pressioni per non lasciare il Paese (come è successo per alcune settimane della scorsa estate) senza alcun reattore in funzione (un prolungamento di questa situazione avrebbe dimostrato come il Paese possa farne a meno senza finire in blackout). «Chi si attende una rapida impennata della quota di energia prodotta con il nucleare resterà deluso - ritiene Koichi Nakano, professore alla Sophia University - Anzitutto, a luglio 2013 ci sono le elezioni per il rinnovo della Camera Alta, dove l'Ldp resta in minoranza: la priorità strategica di Abe è una nuova affermazione elettorale, per la quale non ha interesse a insistere su temi controversi». Inoltre Nakano evidenzia che per rimettere in funzione i reattori occorre l'ok della nuova Commissione Nazionale sulla Sicurezza (che ha tempi necessariamente lenti) e il consenso delle comunità locali, niente affatto scontato anche laddove l'Ldp ha trionfato (e certo bisognoso, come sempre, di incentivi pubblici). Come minimo, però «la vittoria dell'Ldp riduce il rischio a lungo termine che anche reattori relativamente nuovi siano decommissionati», afferma Tomo Kinoshita di Nomura: sul breve, però, anche lui ritiene che non cambierà granché, visto che il governo deve attendere le decisioni della Nuclear Regulation Authority e non se la sentirà di rendere più semplice la complessa procedura per le riattivazioni introdotta dall'ultimo governo. Ma Akira Amari, nuovo ministro dell'economia, e Toshimitsu Motegi (Commercio e Industria) garantiscono che la voce del mondo industriale sarà più che ascoltata nel formulare la politica energetica.

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