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Questo articolo è stato pubblicato il 29 dicembre 2012 alle ore 08:55.

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Internet è il più grande spazio pubblico che l'umanità abbia mai avuto, cresciuto sotto l'egida della libertà che ha garantito una spinta nel senso dell'innovazione e della creatività. Ed è proprio questo processo di espansione che fa paura ai regimi illiberali, che cercano, laddove possibile, di frenarne le opportunità. Senza santificarne il ruolo, non c'è dubbio che la rete sia stata uno strumento fondamentale per quella che, nelle premesse, era la Primavera araba. Per evitare contagi l'Iran sta lavorando da tempo a un Internet parallelo, a uso meramente locale, tagliando fuori il Paese dal resto del pianeta. Anche la Cina ha imposto una rete di filtri per non permettere ai propri cittadini di affacciarsi al mondo, investendo miliardi di dollari in un mostruoso apparato di software e persone per controllare tutto ciò che si muove nel web. Inutile dire che la tecnologia offre allo stesso tempo sistemi sempre più sofisticati per aggirare quegli stessi blocchi. Ma Pechino sa che Internet è troppo importante per poterci rinunciare, anche perché non può permettersi di isolarsi: il web è uno strumento irrinunciabile di dialogo e di confronto per le idee e il business.

Proprio per questo la Cina ora cambia strategia e cerca di mettere la museruola a quell'agora virtuale ponendo fine all'anonimato della rete: ogni commento e ogni opinione d'ora in poi dovrà essere identificabile. Una misura che si affaccia ciclicamente, tra mille polemiche, anche nel mondo occidentale. La finalità - solo apparentemente - è la stessa, la difesa dei diritti e della privacy di tutti, singoli cittadini e aziende. Ma evidentemente la rivoluzione di Internet costringe a ridisegnare anche i concetti di diritti e di libertà.

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