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Questo articolo è stato pubblicato il 08 gennaio 2013 alle ore 06:38.

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Nella foto il presidente di Confindustria, Giorgio SquinziNella foto il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi

Un anno difficile e impegnativo ci aspetta. Dovremo affrontare e vincere, lottando, sfide importanti per riprendere a crescere. La crisi deve trasformarsi nell'opportunità di fare dell'Italia un Paese diverso, con una visione chiara e condivisa di un futuro di miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, soprattutto per i giovani. Serve uno scatto d'orgoglio che recuperi la tensione ideale, lo spirito costruttivo e le ragioni del fare che hanno segnato l'Italia del secondo dopoguerra.

Una stagione nella quale una politica con la P maiuscola, cultura, iniziativa imprenditoriale e capacità esecutive si sommarono per liberare le energie vitali del Paese. In quella stagione la politica e gli uomini del fare portarono l'acqua dove non c'era, garantirono un sistema di infrastrutture, vollero che scuola, università e impresa dialogassero. Attraverso uno sviluppo manifatturiero senza eguali consentirono all'economia italiana di crescere a ritmi così elevati da generare reddito, occupazione e realizzare un vero e proprio miracolo, trasformando l'Italia, in pochi decenni, nella quinta potenza economica mondiale.
Oggi la questione della crescita del nostro Paese tocca noi industriali direttamente e a questa sfida tanti di noi hanno risposto assumendosi fino in fondo tutte le responsabilità, investendo in ricerca e in capitale umano, cercando e conquistando nuovi mercati. Ma al tempo stesso quello che stiamo vivendo tocca le ragioni costitutive dell'azione politica, che deve essere capace di eliminare i fardelli di una burocrazia ossessiva e di una pressione fiscale ormai intollerabile.

L'imminente tornata elettorale sarà un banco di prova decisivo. La prossima legislatura dovrà essere contraddistinta da una ritrovata dialettica costruttiva fra le forze politiche. È fondamentale non cedere alle tentazioni dell'antipolitica, che ha solo contribuito ad allontanare i cittadini dalle Istituzioni. La società deve tornare ad avere fiducia nello Stato e nei suoi rappresentanti, partecipando direttamente e attivamente alla costruzione di un modello sociale condiviso. Per questo ci aspettiamo che chi andrà a ricoprire cariche pubbliche, svolga il proprio ruolo con impegno, dedizione e onestà. Dalle Istituzioni ci aspettiamo il buon esempio, ma anche le forze sociali sono chiamate a partecipare e contribuire al cambiamento e al rilancio dell'Italia. Al mondo produttivo, in particolare, spetterà il ruolo di protagonista propulsivo dello sviluppo economico, sociale e civile. In questo impegno generale, è cruciale la credibilità internazionale, mantenendo saldo il legame con l'Europa e proponendoci come esempio da emulare e non più malato da guarire.
I sacrifici che tutti noi abbiamo sopportato negli ultimi tempi con grande senso di responsabilità hanno scongiurato rischi di default. L'emergenza però non è ancora finita. Il tasso di disoccupazione potrebbe essere destinato a salire ancora, il debito pubblico ha superato i 2mila miliardi di euro e le tasse su cittadini e imprese che fanno fino in fondo il proprio dovere di contribuenti hanno raggiunto livelli insostenibili.

Chi governerà il nostro Paese avrà il dovere di affrontare questi nodi e porre le basi per consentirci di competere ad armi pari sui mercati globali. Senza questa capacità competitiva il destino è di un graduale impoverimento e la fuoriuscita dal novero delle grandi potenze economiche.

Per questo è imprescindibile rimettere l'industria al centro dell'agenda del Paese. Le imprese sono il vero motore in grado di costruire lavoro, progresso e sviluppo. Dall'industria viene l'80% del nostro export, la maggior parte delle innovazioni e i posti di lavoro più qualificati e meglio remunerati. Sbaglia chi pensa che mettere l'impresa a fondamento delle politiche di crescita avvantaggi solo gli imprenditori. Quando parliamo di politica industriale noi non chiediamo aiuti. Vogliamo piuttosto sottolineare che l'interesse generale coincide con il superamento di quei vincoli e pregiudizi che alimentano nei fatti una cultura anti industriale che mortifica le nostre potenzialità di crescita, rendendo più incerto e amaro il futuro dei nostri giovani. Se vogliamo avere un futuro non possiamo più permetterci un Paese in cui noi imprenditori siamo guardati con sospetto e non con il rispetto che è dovuto a chi costruisce benessere e occupazione.
Da questa crisi dovrà uscire un Paese nuovo, nel quale la pubblica amministrazione non dreni risorse ai cittadini e alle imprese per nutrire apparati abnormi e, spesso, irresponsabili e inefficienti. All'opposto, lo Stato e l'amministrazione devono essere rivolti dalla politica al servizio dei cittadini e deve predominare la cultura del rispetto delle regole e della responsabilità.

Per questo sono essenziali profonde riforme strutturali, a partire da una seria revisione del Titolo V della Costituzione, che mettano in discussione gli assetti istituzionali e lo stesso perimetro dello Stato e ci conducano ad un decentramento finalmente responsabile. Per questa via sarà possibile un taglio deciso, ma non lineare, della spesa e, quindi, una graduale riduzione della pressione fiscale. Solo così le imprese disporranno di maggiori risorse da investire per innovare e generare nuova e maggiore occupazione e saranno rilanciati i consumi. È fondamentale rendere più semplice la vita alle imprese attraverso una burocrazia a supporto degli investimenti e non di ostacolo. Bisogna sfrondare e semplificare le migliaia di regole, spesso contraddittorie e incoerenti, e liberare le imprese dal costo e dagli oneri che la loro applicazione crea e che sono ignoti a chi opera in altri Paesi. Come possiamo pensare di tornare ad essere attrattivi per gli investimenti se i tempi di risposta della pubblica amministrazione sono biblici? O se le infrastrutture sono arretrate rispetto al fabbisogno, anche perché la loro realizzazione è molto lenta e costosa? Sono queste le future sfide della politica e, quindi, i temi di cui vogliamo sentire parlare durante la campagna elettorale.

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