Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 12 gennaio 2013 alle ore 08:50.
L'ultima modifica è del 12 gennaio 2013 alle ore 09:28.
La scomparsa di Mariangela Melato non segna soltanto l'uscita di scena di un'attrice popolarissima. In molte cose del suo lavoro, persino del suo carattere, e in quella stessa figura, esile ma energica, dall'inconfondibile voce bassa e un po' roca c'è tanta parte della storia, dei cambiamenti e dell'identità del nostro Paese. Ed è stato proprio questo suo essere una donna e un'attrice particolare a cancellare quella distanza che in genere c'è tra chi appartiene al mondo dello spettacolo e la gente comune. Ne è prova l'immenso cordoglio che si è condensato intorno alla notizia della sua morte avvenuta all'età di 71 anni ieri mattina in una clinica romana, alla fine di una malattia che la segnava da tempo.
C'erano molte cose in lei che l'avvicinavano a chiunque di noi, non a caso era un'antidiva per eccellenza, gelosa della sua vita privata. E poi quest'interprete ha sempre dato l'idea di essere animata da una profonda serietà, da un impegno costante, uniti però a una mobilissima curiosità che le faceva attraversare il piccolo schermo in operazioni distanti tra loro come per la arcigna governante dello sceneggiato Rebecca o la Filumena di Eduardo nella versione in italiano curata da Massimo Ranieri, per citare soltanto le ultime, e che al cinema la portava a lavorare su set e con registi completamente differenti. Ma anche in quello che era il suo grande amore, il teatro, si prendeva la libertà di cambiare genere in modo ardito, passando dal drammatico ai registri leggeri, attraversando persino il musical o costruendo un recital di canzoni tutto suo, Sola me ne vo', realizzato nel 2007.
Non a caso la grande notorietà le arrivo nel 1972 con il personaggio di Fiore in Mimì metallurgico ferito nell'onore, il film di Lina Wertmüller che mescolava in modo ironico i pregiudizi del Sud con le storture della civiltà industriale del Nord in cui lei era una semplice ragazza torinese. Una sorta di specchio ironicamente deformante del ruolo ben più drammatico sostenuto l'anno prima accanto a Volonté in La classe operaia va in paradiso. E, del resto basta andare all'inizio della sua carriera per scoprire una storia tutta particolare, fatta di quella semplicità e di quella determinatezza che contraddistinguerà tutta la sua carriera. Mariangela non era che una giovane milanese, che dopo gli studi artistici aveva trovato lavoro come vetrinista ai grandi magazzini, ma passando tutti i giorni per un anno davanti al manifesto di un corso di recitazione, cederà a quella tentazione, tanto da iscriversi e, poco tempo dopo, lasciare il lavoro per trasferirsi a Bolzano nella compagnia di Fantasio Piccoli a fare l'aiuto costumista o la suggeritrice, fino a quando non si ammalerà la prima attrice costringendola a entrare in scena al suo posto.
Curiosa, dunque, acuta e intelligente, in qualunque momento della sua vita, sensibile ma volitiva. Se ne accorgerà Luchino Visconti osservandola dal fondo di una sala buia per un provino affermando col suo stile un po' rude «Sembri un ranocchio ma hai le palle», decidendo di scritturarla per la sua Monaca di Monza, cosa che non le impedirà di passare poi al teatro politico e farsesco di Dario Fo e a molte altre avventure di palcoscenico, mentre al cinema verrà scelta da Petri, Pupi Avati, Nino Manfredi, Monicelli. Non c'è dubbio che questo lavoro tutto particolare le servisse per capire, sempre di più, qualcosa di sé e del mondo che le stava intorno, tanto che le sarà inevitabile sentirsi attratta dai percorsi più arditi della ricerca teatrale, lavorando con Luca Ronconi nel memorabile Orlando furioso a Spoleto nel '69 (poi in tv), con il pubblico in piedi a seguire imponenti carrelli scenici di legno su cui gli attori declamavano i versi di Ariosto. E sempre con Ronconi un lungo elenco di operazioni impegnative, da l'Affare Makropulos ai testi di Andreini, James o O'Neill, fino all'ultima Nora alla prova, intensa rilettura di Casa di bambola di Ibsen. Ed è proprio quella dolorosa descrizione di una possibile libertà femminile, insieme all'emblematico monologo de Il dolore di Marguerite Duras, diario di una donna in attesa del suo uomo prigioniero dei nazisti, ad averci consegnato l'ultimo ritratto scenico di Mariangela Melato. Intenso e ricco di vita. Com'era lei.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Permalink
Ultimi di sezione
-
Italia
Agenzia delle Entrate sotto scacco, rischio «default fiscale»
-
L'ANALISI / EUROPA
L'Unione non deve essere solo un contenitore ma soggetto politico
Montesquieu
-
NO A GREXIT
L’Europa eviti il suicidio collettivo
-
Il ministro dell'Economia
Padoan: lavoreremo alla ripresa del dialogo, conta l’economia reale
-
LO SCENARIO
Subito un prestito ponte
-
gli economisti
Sachs: la mia soluzione per la Grecia