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Questo articolo è stato pubblicato il 13 gennaio 2013 alle ore 15:00.

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«La forza delle cose» - titolo esemplare del libro edito da Garzanti che Alexander Stille ha dedicato alla sua famiglia - ha finito per prevalere. E così restituisce all'Italia e agli Stati Uniti, col racconto vivido e aspro della realtà, un protagonista del giornalismo del '900, Ugo Stille, che nella sua vita un libro vero non l'aveva scritto. In perfetta coerenza con un immobilismo abitudinario pratico-professionale (formidabile accumulatore di carte e libri, ha scritto sempre, preferibilmente da casa, per un solo giornale, il Corriere della Sera, non guidava automobili, era un fermo sostenitore del pigiama come migliore abito da lavoro) che faceva da contrappunto a una vita da leggenda, ricca anche di qualche mistero, passata a confrontarsi con la propria appartenenza identitaria, personale e legale.

Ugo Stille, detto Misha, l'uomo dal nome e dalle date malleabili, come scrive il figlio Alexander che insegna oggi giornalismo alla Columbia University. Ebreo, figlio di madre russa e di un dentista bielorusso entrato poi in contatto in Italia con Gabriele D'Annunzio. Nato nel 1919 a Mosca come Mikhail Kamenetzki, morto a New York nel 1995 come Michael U. Stille, cittadino americano (con l'arruolamento nell'esercito Usa a 22 anni) e cittadino italiano. Profugo di due Paesi, prima la Russia e poi l'Italia. Ugo Stille, direttore del Corriere dal 1987 al 1992, un nome che era uno pseudonimo congiunto, suo e di Giaime Pintor (che lo usò poi come nome di battaglia nella resistenza contro i nazisti), quando scrivevano su Oggi durante il fascismo.

Insomma un destino di vita straordinaria. E dunque anche giornalista straordinario, realista e refrattario all'ideologia, allergico ai giudizi moralistici che annebbiano le analisi politiche ed economiche, direttore scettico e curioso, coi piedi sulla scrivania, nella nuvola di fumo della sua pipa.

Ugo Stille è morto come era vissuto, "circondato dai giornali che si accatastavano come mucchi di neve durante una bufera, in un mondo in cui ogni giorno nevicava carta stampata", ricorda Alexander. Nei tempi attuali di siccità cartacea e dove l'informazione viaggia velocissima e sincopata, le sue corrispondenze, le sue news analysis per nulla passionali ma dense di contenuto restano però una lezione attuale di giornalismo. E un'àncora preziosa di riferimento per reinventare una diversa, più leggera ma necessaria, nevicata di carta.

Stille "non si lasciava mai distrarre dalle dichiarazioni pubbliche, dalle conferenze stampa e dalle intenzioni individuali, perché sapeva che l'esito ultimo degli eventi è quasi sempre determinato dalla logica interna della forza delle cose, in cui credeva fermamente. Molti dei suoi scoop erano il frutto della pura analisi logica. Era sempre alla ricerca del movimento sottostante delle più profonde forze storiche".

Tutto vero. A tal punto che il figlio può annotare che il padre, morente, risponde «Sandro» e poi «Gronchi» (il presidente della Repubblica italiano, anni 50) al medico americano che gli aveva chiesto chi fosse il presidente degli Stati Uniti. Ma poi, andatosene il medico, è la volta di Alexander: «Hai sentito? Il presidente Clinton ha detto di essere pronto a mandare truppe di terra in Bosnia». E lui: «Lo dice, ma vedrai che alla fine non lo farà». Andò proprio così. Ugo non ricordava il nome del presidente "ma non aveva perso la sua sottile comprensione della situazione politica". Appunto, l'onda lunga della "forza delle cose" che si spegneva nel suo porto di destinazione.

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