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Questo articolo è stato pubblicato il 23 gennaio 2013 alle ore 07:40.

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David Cameron pronuncerà oggi il suo atteso discorso sul ruolo della Gran Bretagna in Europa proprio il giorno successivo alle celebrazioni dei 50 anni del Trattato dell'amicizia franco-tedesca, mezzo secolo dopo quell'abbraccio fra De Gaulle e Adenauer che marcò un punto di svolta nella storia del nostro continente.

La toccante cerimonia che si è tenuta ieri a Berlino, ha rinnovato l'impegno più che mai necessario di due Paesi fondatori a favore di un'integrazione europea approfondita e adeguata alle sfide del XXI secolo. Se, oggi, da Londra arriverà un messaggio diverso, sarà difficile accettarlo. Qualsiasi tentativo da parte del governo britannico di riportare poteri a Westminster comporterebbe un negoziato lungo e complicatissimo. L'esperienza dimostra che infinite discussioni su problemi istituzionali - spesso auto-referenziali - possono sviare l'attenzione dai problemi veri, che sono il lavoro e la crescita.
Il tentativo di rivedere parti importanti dell'acquis comunitario, raccogliendo e spizzicando solo i pezzi considerati accettabili dal Regno Unito, sarebbe un precedente pericoloso - che porterebbe a un quadro legislativo frammentato, alla divisione e potenzialmente alla disgregazione dell'Ue.

A prima vista il "rimpatrio" di competenze può sembrare allettante, ma in realtà comporterebbe procedure molto complesse, senza risultati garantiti. Ovviamente i tentativi di recuperare competenze e l'eventuale uscita dall'Unione europea sono, in ultima istanza, decisioni del governo e del popolo britannici. Tuttavia, sono fermamente convinto che la piena adesione del Regno Unito sia nell'interesse britannico ed europeo. Il mercato unico favorisce enormemente l'economia britannica e l'Ue resta la maggiore destinazione per il commercio estero del Regno Unito, rappresentando il 50% circa del totale delle esportazioni.
In un mondo globalizzato, non è nell'interesse del Regno Unito di arretrare a una sorta di adesione di "serie B", indebolendo così la propria influenza sulla politica europea e mondiale. Gli amici della Gran Bretagna l'hanno detto. Nei giorni scorsi, gli Usa hanno giustamente segnalato che un eventuale referendum significherebbe per la Gran Bretagna una chiusura su se stessa, mentre il primo ministro irlandese Enda Kenny ha suonato il campanello d'allarme dicendo che un'uscita dall'UE sarebbe un "disastro".

Anche il mondo degli affari britannico ha avvertito Cameron dei rischi di destabilizzazione per l'economia del Regno Unito, se il Paese uscisse dall'UE, o se cercasse di rinegoziare radicalmente i termini di adesione. Queste voci andrebbero ascoltate. Per necessità la zona euro si sta integrando sempre più profondamente e rapidamente. Il Regno Unito ha chiaramente scelto di rimanerne fuori. Il sostegno britannico a una maggiore integrazione dell'eurozona è benvenuto, ma farlo standone fuori significa che questa non può né potrà mai essere plasmata secondo gli interessi britannici.

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