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Questo articolo è stato pubblicato il 25 gennaio 2013 alle ore 07:26.

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La Fiat, le istituzioni, la Juventus, la finanza e i torinesi. Ieri c'erano tutti, forse anche qualcuno in più del previsto, a ricordare Giovanni Agnelli a dieci anni dalla morte, in «una di quelle belle giornate di sole che sarebbero tanto piaciute al nonno», come ha fatto notare John Elkann. Una doppia commemorazione, prima religiosa in Duomo e poi civile in Comune, sobria e quasi svelta, come in ossequio a un uomo che non amava perdere tempo o dilungarsi in troppi discorsi.
Giovanni Agnelli, come ha ricordato anche lo storico Giuseppe Berta, era uomo di «intrecci». Poliedrico, capace di conciliare le responsabilità dell'imprenditore con un forte senso delle istituzioni, ha sottolineato il capo dello Stato Giorgio Napolitano, ma anche di «tenere agganciata l'Italia all'Europa», ha aggiunto John Elkann, ricordando che proprio qui si fondava il suo rapporto con Torino, «ricca di valori civili e d'idee innovative e per questo luogo ideale per favorire questo percorso». Una eco chiara di tutto questo si è avuta ieri nei volti che si sono dati appuntamento a Torino: dalla vecchia guardia composta da uomini come Gianluigi Gabetti, Franzo Grande Stevens, Giampiero Boniperti fino ai nipoti, e ai giovani della Primavera della Juventus, in mezzo c'erano tutti i volti e mondi che hanno segnato la vita dell'Avvocato.

La famiglia Agnelli-Elkann, al completo con la sola eccezione della figlia Margherita, a confermare una ferita non ancora sanata, le istituzioni (insieme al capo dello Stato i ministri Fornero, Grilli e Profumo), l'America con l'ambasciatore David Thorne, e poi la Fiat, quella di oggi – con Sergio Marchionne e Alfredo Altavilla – e anche quella di ieri, dei tempi dell'Avvocato, con Cesare Romiti, Paolo Cantarella, Paolo Fresco. In mezzo a loro, uomini e donne di sport, d'industria e di finanza: persone di casa come Luca Cordero di Montezemolo, accanto a Marco Tronchetti Provera, Gabriele Galateri, Giuseppe Guzzetti, Enrico Cucchiani; poco lontano, seduti vicini anche Giovanni Bazoli, Gerardo Braggiotti e Giuseppe Vita, in una formazione passata non del tutto inosservata soprattutto ai più attenti alle geografie bancarie di ieri e di oggi.
E non inosservato – dentro e ancora di più fuori dal Duomo – è passato anche il messaggio dell'arcivescovo di Torino, monsignor Cesare Nosiglia, che nel ricordare «le tracce» e «lo stile» dell'Avvocato ancora chiaramente percepibili in città, ha lanciato un messaggio chiaro a chi ne ha preso in mano l'eredità: «A dieci anni dalla sua morte è importante manifestare anche pubblicamente i sentimenti di riconoscenza per quei frutti che possiamo cogliere ancora oggi del suo lavoro», ha detto nel corso della sua omelia, aggiungendo poi che «qui più che altrove ognuno è chiamato a dare il meglio di se stesso perché più forti e drammatiche sono le esigenze di chi chiede aiuto immediato ma anche aspira legittimamente a costruire un avvenire che non sia fatto nè di assistenza né di sussistenza». Anche Papa Benedetto XVI, in un messaggio affidato al cardinale Tarcisio Bertone ha ricordato la sua preghiera per «una personalità che, per oltre mezzo secolo, si impose all'attenzione nazionale ed internazionale per le sue notevoli qualità di imprenditore».

Dopo la Messa, mentre alcune centinaia di persone seguivano la giornata dai maxi schermi, è stata la volta della cerimonia civile in Comune, in quella Sala Rossa dove nel marzo 2002 Giovanni Agnelli aveva fatto una delle sue ultime uscite pubbliche all'arrivo della bandiera olimpica da Salt Lake City. «Per l'Avvocato Torino e la Fiat erano una cosa sola: se va bene alla Fiat, diceva con compiacimento, va bene a Torino», ha ricordato il sindaco della città, Piero Fassino: «Per lui Torino era sinonimo di serietà, rigore morale, competenza professionale, di lealtà umana - ha proseguito -. Era un marchio di fabbrica, una garanzia di qualità, certezza di affidabilità ed era naturalmente orgoglioso della storia della Fiat che sapeva prima di tutto essere una grande comunità di donne e di uomini. Per i suoi operai, per i suoi impiegati, per i suoi dirigenti, aveva rispetto e riconoscenza».

Dopo il profilo tracciato da Giuseppe Berta, che ha parlato di Giovanni Agnelli come «ambasciatore informale e influente» non solo di Torino ma dell'Italia, l'intervento del Capo dello Stato (si vede l'altro servizio) e prima il ricordo di John Elkann: «La sua attenzione per Torino – ha detto – si fondava su una ferma convinzione: non c'è progresso, non c'è futuro per un territorio dove manca il rispetto e l'attenzione continua a rafforzare le Istituzioni», dal Comune (era stato per anni sindaco di Villar Perosa) fino al Senato, dove entrò nel 1991 su nomina di Francesco Cossiga. «Alle responsabilità di primo imprenditore della città si accompagnava la scelta meditata di un impegno più ampio – ha rimarcato Agnelli –: Torino doveva avere un autorevole giornale nazionale, ricco di grandi firme, una fondazione di prestigio, in grado di contribuire alla modernizzazione del Paese, una squadra di calcio vincente e competitiva in Europa». Su tutto, però, la Fiat, quella lasciata nel 2003 e quella di oggi, con un piede in America: «Mio nonno avrebbe sicuramente apprezzato l'unione con Chrysler», ha detto Elkann, ricordando però – prima di lasciare il Comune – che in Italia gli impegni presi non cambiano: «La prossima settimana terremo la riunione del consiglio di amministrazione qui e presenteremo l'investimento di Grugliasco, una conferma che le nostre radici sono qua».

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