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Questo articolo è stato pubblicato il 01 febbraio 2013 alle ore 08:03.

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Nel 2011 l'Italia è stato «il primo contribuente netto» al bilancio europeo e «negli ultimi dieci anni ha pagato più di quanto fosse giustificato». La dichiarazione rilasciata a Berlino del premier Mario Monti, al netto dell'utilizzo che se ne può fare o meno nell'ambito della campagna elettorale, fotografa un dato di fatto su cui riflettere. Ovvero il paradosso che ha portato il nostro Paese, nonostante fosse finito nel gorgo della crisi finanziaria dell'euro e avesse un'attività economica più in crisi di altri partner europei, a versare nel 2011 al bilancio comunitario circa 6 miliardi in più di quelli ricevuti. Uno squilibrio chiaramente inaccettabile anche per l'europeista più convinto, che ritenga inopportuno calcolare con il bilancino costi e benefici di Bruxelles.
Aver visto scivolare progressivamente l'Italia, negli ultimi due settenati di prospettive finanziarie Ue, dalla posizione di beneficiario a contribuente netto, fino a diventare addirittura il primo dei "benefattori" deve insegnare qualcosa. In primo luogo, evidenzia gli errori di calcolo e le leggerezze nei negoziati europei dei governi (di diverso colore) del passato, che hanno permesso a meccanismi automatici di contributo e di erogazione di essere così svantaggiosi per l'Italia. In secondo luogo, indica che anche nell'utilizzo dei fondi disponibili il nostro Paese non ha probabilmente brillato per capacità di assorbimento. Pertanto è fondamentale che al vertice europeo del 7 febbraio, che deciderà la ripartizione di quasi mille miliardi del bilancio Ue per gli anni 2014-2020, l'Italia si presenti senza timidezze e distrazioni per difendere i propri interessi nell'agricoltura e nella coesione, ma anche in politica industriale, innovazione e grandi reti. A questo punto, un bilancio europeo più equo per l'Italia, lo sarebbe anche per l'Europa.(e.br.)

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