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Questo articolo è stato pubblicato il 04 febbraio 2013 alle ore 07:53.

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È sempre stato un must delle imprese italiane: fare ricerca per conservare il vantaggio sui concorrenti. Un modello oggi in affanno a causa della crisi. Innovazione con il freno tirato, visto che per il secondo anno consecutivo diminuisce il numero di richieste di brevetto europeo, strumento utile per "difendere" il risultato della ricerca nel l'area della Ue.

A confermare il calo sono proprio i dati diffusi dall'European patent office di Monaco di Baviera, ente che registra le richieste di brevetto unificato europeo. Mentre le richieste trasmesse nel 2012 a Monaco da tutto il mondo sono state ben 258mila (+5,7%) e, dopo l'esame, sono stati rilasciati 65.700 brevetti (+5,8%), quelle giunte l'anno scorso dall'Italia, secondo i dati preliminari, sono state 4.706, in flessione di circa il 4% sul 2011, anno già segnato da un calo.
L'Italia va in controtendenza: la Germania registra un +3,4%, il Regno Unito un +4,4%, la Finlandia addirittura un +13 per cento. Meglio di noi fa anche la penisola iberica: dalla Spagna sono arrivate 2.500 domande (+2,3%) e dal Portogallo, che occupa il 40° posto, 140 richieste (+10%). Un quadro allarmante, perché nel passato le Pmi italiane innovavano e soprattutto brevettavano. E ora?

«La crisi impedisce a moltissime imprese di guardare al medio-lungo periodo. Le loro attività di ricerca e brevettazione sembrano congelate e anche quelle realtà con una buona situazione economica spesso non se la sentono di investire nel loro futuro – commenta Micaela Modiano, partner dello Studio Modiano & partners, che conta su un team di circa 75 professionisti in Italia e all'estero –. Altri in Italia fanno innovazione, ma poi non la "difendono" con il brevetto, mentre in Germania si brevetta perché c'è maggiore consapevolezza sull'uso dei brevetti per "bloccare" la concorrenza illecita».

La necessità di fare ricerca, dunque, si scontra con le presenti difficoltà, che rappresentano un evidente svantaggio competitivo per chi vuole continuare a investire nell'innovazione. Tanto che nel documento di proposte recentemente elaborato da Confindustria si sottolinea l'urgenza di definire un chiaro scenario di medio-lungo periodo che punti sulla ricerca e l'innovazione. «È fondamendatale – spiegano da Viale dell'Astronomia – introdurre un credito d'imposta del 10%, automatico e strutturale, sugli investimenti in innovazione delle imprese, oltre a un'aliquota maggiore per le commesse di ricerca alle università e ai centri di ricerca pubblici». È necessario, inoltre, definire un sistema efficiente di finanza per massimizzare risorse pubbliche e private. «Un'impresa che realizza un investimento in R&S in Francia – fanno sapere da Confindustria – ha diritto a un credito d'imposta, automatico e strutturale, del 30% annuo, che arriva al 40% se lo si utilizza per la prima volta».

«Il gap tecnologico verso i nostri concorrenti è forte, ma la battaglia non è persa, perché in molti settori come biotech, robotica e meccanica di precisione siamo competitivi – incalza Renato Ugo, presidente dell'Associazione italiana ricerca industriale (Airi) –. Il problema è la scarsità delle risorse che influisce sulla fuga dei cervelli».
Un giudizio in sintonia con quello di Franco Masera, senior advisor di Kpmg che rimarca: «Si deve investire sulle risorse umane perché nel medio-lungo periodo accrescono l'innovazione, mentre spesso a chi fa ricerca non si dà la dovuta dignità». Su tutti continua ad aleggiare l'emergenza risorse, troppo scarse e ben lontate dal 3% del Pil fissato dalla Ue entro il 2020.
«Il calo delle richieste è preoccupante, ma le Pmi devono evitare di rimanere nell'ambito del solo segreto industriale» avverte Paolo Lazzarini, associato dello studio Nctm.

E sempre sul fronte legale c'è da registrare un altro fenomeno: a causa della crisi si registra un calo dei contenziosi a difesa del know how. «Spesso per difendere la proprietà intellettuale sono necessari investimenti considerevoli – conclude Gabriele Cuonzo, partner e socio fondatore dello Studio Trevisan & Cuonzo – con costi fuori portata per una Pmi». Un altro handicap è poi rappresentato dall'inefficienza e dai tempi lunghi del processo. L'ennesimo spread che danneggia le imprese italiane.
enrico.netti@ilsole24ore.com

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