Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 14 febbraio 2013 alle ore 08:15.

My24

Q uesta settimana sembra che sarà cruciale per chiarire gli aspetti giudiziari della vicenda che ha coinvolto il Monte Paschi di Siena. Ma gli elementi di cui disponiamo sono già sufficienti per farci una idea abbastanza precisa dei difetti del nostro sistema bancario, che hanno reso il Monte Paschi più vulnerabile al dissesto.

Guardiamo la vicenda attraverso l'esposto anonimo mandato alla Consob da un dipendente di Mps nell'agosto 2011 che evidenzia le pratiche messe in piedi dal capo dell'area finanza assieme ad altri funzionari (definita la banda del 5%) che si sostanziavano in una sistematica sottrazione di profitti agli azionisti di Mps. L'attività di distrazione era, secondo l'esposto, di rilevante entità e protratta nel tempo. Ma perché il funzionario di Mps si è rivolto alla Consob e non ha riportato i fatti al direttore generale o al presidente? Non è un'anomalia? E da cosa origina?
Chiedetevi che cosa fareste voi se scopriste che la donna delle pulizie del vostro vicino di casa lo raggira e gli fa la cresta sulla spesa. Andate dai carabinieri oppure informate il dirimpettaio? Probabilmente seguirete la seconda strada. E questo perché sapete che alle sue proprietà il vicino di casa ci tiene e ha interesse a difenderle: potrà decidere lui se licenziare la donna o chiamare i carabinieri. Perché l'encomiabile whistleblower di Mps si rivolge invece direttamente ai “carabinieri” (ovvero alla Consob)? Comprensibile che non voglia rivolgersi al direttore generale o al presidente se sospetta che potrebbero essere collusi con il capo della finanza. Ma perché non espone la sua denuncia alla Fondazione che ha oltre l'80% del proprio capitale investito in Mps? Sulla carta la Fondazione è l'analogo del dirimpettaio.

Diversamente da lui però, che percepisce la spesa rubata dalla donna come sua, gli amministratori della Fondazione, se qualcuno sottrae profitti al banco, non ci rimettono nulla di proprio, perchè vanno a remunerare la dotazione della Fondazione, non la loro. Chi ci rimette sono eventualmente i beneficiari delle loro elargizioni, ma non loro. Quindi perché curarsene? L'impiegato del Monte Paschi lo capisce e scarta questa possibilità. La conclusione è che i problemi di Mps sono una, tra le altre, manifestazioni di cattiva amministrazione del banco. Ed è riflesso a sua volta di una debole struttura proprietaria, in cui chi esercita il controllo – la Fondazione - ha incentivi deboli a farlo in modo incisivo. Il ragionamento si poggia sull'assunto che l'impiegato si sia rivolto direttamente alla Consob. Se invece avesse mandato la lettera di denuncia innanzitutto alla Fondazione sarebbe ancora peggio perché proverebbe che la Fondazione lo ha ignorato, confermando di essere un azionista inadeguato.

Di fronte alle evidenti carenze e responsabilità gestionali del management, espressione della proprietà, la Banca d'Italia ha richiamato i soci controllanti alle loro responsabilità forzandoli a rimpiazzare l'intero consiglio di amministrazione e il direttore generale. Lo ha potuto fare solo dopo che lo stato di distress della banca era avanzato. Se avesse disposto del potere di removal che hanno gli organi di vigilanza di altri paesi sviluppati avrebbe potuto farlo prima, con ovvio vantaggio collettivo. Ignazio Visco, nel suo discorso al Forex, ha sollecitato un rafforzamento della normativa per consentire all'autorità di vigilanza, “sulla base di fondate evidenze, di opporsi alla nomina di esponenti aziendali o rimuoverli dall'incarico”. Ben venga il rafforzamento. Ma oltre a gravare la Banca d'Italia di questo ulteriore compito è urgente preoccuparsi di dotare le banche di proprietari che abbiano loro stessi un forte interesse a rimuovere per tempo il management infedele o incapace. Meglio ancora, che al momento della scelta, abbiano una motivazione forte a selezionare persone che per competenza e serietà hanno una bassa probabilità di dover essere poi rimossi. Nessuno meglio di una buona struttura proprietaria può assolvere a questo compito. La proprietà, quando funziona, vigila tutti i giorni, le ispezioni per quanto efficiente possa essere il vigilante – e il nostro lo è – possono essere solo sporadiche.

Le fondazioni di origine bancaria non hanno le caratteristiche di una buona proprietà, e lo si sapeva. È ora, come ha sostenuto perfino Giuliano Amato (Il Sole 24 ore del 3 febbraio), di rimettere mano alla sua riforma. Ma mentre lui lascia aperta la possibilità di tenere le fondazioni nelle banche ripensando i loro organi di governo, io sono convinto che sia meglio seguire la strada di Ciampi e trovare per le banche padroni veri.

Shopping24

Dai nostri archivi