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Questo articolo è stato pubblicato il 15 febbraio 2013 alle ore 07:51.

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Sulla spalla sinistra di Oscar Pistorius, velocista e da ieri omicida della fidanzata, c'è un tatuaggio: «Io dunque corro, ma non come chi è senza mèta; faccio il pugilato, ma non come chi batte l'aria, anzi tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù perché non succeda che dopo avere predicato agli altri, venga io stesso squalificato».

Sono due versetti (26-27, capitolo 9) della prima lettera ai Corinzi di San Paolo, che Pistorius si fece tatuare in una notte di giugno 2011, mentre era a New York insonne. Prese la metro, raggiunse Soho e nel negozio di un portoricano si fece tormentare dalle 2 del mattino alle 8,30. Per scriversi addosso il destino. Quello che ieri l'ha fatto squalificare da tutto il mondo. Eppure aveva predicato sacrifici e raccolto vittorie. Ha ucciso a colpi di pistola la fidanzata Reeva Steenkamp, biondissima e bellissima modella che lottava contro la violenza sulle donne e che scriveva su Facebook: "Stamattina mi sono svegliata in una casa sicura e felice. Non a tutti capita. Solleva la tua voce contro gli abusi sessuali". Agli inquirenti che lo hanno arrestato nella sua casa di Pretoria, dove si è consumato il delitto, ha detto che ha sparato, temendo una rapina. Ma la verità è un gesto di gelosia, un raptus, e oggi ne risponderà davanti ai giudici. Non una novità, perché - si apprende dalla polizia - altre, in passato, erano state le violenze domestiche del solare Oscar.

Dalle prime apparizioni sulle piste (i 400 metri la sua specialità) alla Paralimpiade di Atene 2004 alle gare di Londra 2012, Pistorius, sudafricano di 26 anni, è stato il segno di un'uguaglianza cercata senza sosta, oltre ogni pregiudizio. A undici mesi gli amputano entrambe le gambe sotto il ginocchio per una malformazione, a sei anni i genitori divorziano e a 15 perde la mamma, ben più di una mamma, un faro di tenacia. La vita lo prende a sberle ma lui è più forte, corre, si sfianca di allenamenti, vuole competere con i normodotati, sperimenta protesi sempre più sofisticate, diventa Blade Runner.
Non si ferma davanti alla burocrazia: nel 2007 il consiglio Iaaf vota per la sua ineleggibilità, Pistorius - senza alzare la vice - ricorre al Tribunale arbitrale dello sport che gli dà il via libera: le protesi non garantiscono vantaggi, ma salta i Giochi di Pechino perché non ha il tempo di qualifica. Ai Mondiali 2011 di Daegu vince l'argento con la staffetta 4x400 del Sudafrica e l'Olimpiade di Londra è la consacrazione: 8° con la staffetta e fuori in semifinale nella gara individuale coi normodotati. Ecco il traguardo sognato, agognato, tagliato.
Un successo planetario, le copertine del mondo, gli sponsor a inseguirlo fino a Gemona, in provincia di Udine, dove aveva trovato il suo buen retiro per allenarsi e migliorare. Nike, Thierry Mugler, Oakley, Bt, Dewey&Leboeuf e Ossur Hf gli garantivano ogni anno due milioni di dollari con le sponsorizzazioni. Ora è fuga dal simbolo, dall'eroe diventato mostro: Nike ha ritirato la pubblicità con lo slogan "come un proiettile".

In Sudafrica la violenza è regola: 32 assassini ogni centomila persone (la media mondiale è di sette), in Sudafrica si possono tenere armi da fuoco in casa: tutto vero, ma da Pistorius, dalla sua favola bella, a cui tante persone in difficoltà si erano aggrappate per sperare e correre, questo non ce l'aspettavamo. Ha tradito lo sport, il fuoco della vita, la voglia di vita e il Sudafrica, la nazione arcobaleno con le sue contraddizioni e la sua forza giovane: Pistorius come il suo Paese, alla ricerca di una rinascita, e miseramente persi. Lui da ieri in un carcere, il Sudafrica in corruzione e violenza dilaganti.
Gli eroi son tutti giovani e belli. Non più, neppure nello sport.

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