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Questo articolo è stato pubblicato il 16 febbraio 2013 alle ore 10:20.

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La lotta ai cambiamenti climatici registra due buone notizie, ma entrambe con riserva. Secondo gli esperti, l'Italia avrebbe non solo centrato ma addirittura superato gli ultimi obiettivi di riduzione dei gas serra, chiudendo il 2012 con un taglio del 7% rispetto al 1990, mezzo punto in più rispetto ai vincoli che ci siamo dati con l'Unione europea. Ma guai a brindare: il risultato è stato raggiunto un po' grazie all'uso più pulito dell'energia, ma determinante è stato lo sgraditissimo fenomeno della crisi economica che ha frenato i consumi e la produzione industriale.

Seconda notizia: l'Italia sta finalmente recependo (se ne è occupato l'ultimo Consiglio dei ministri) le direttive europee che ridisegnano e perfezionano, in teoria, il sistema di compravendita delle quote di emissione. Qualche indubbio perfezionamento c'è: verranno ad esempio escluse le imprese di minori dimensioni e il titolo per "fabbricare" le quote da commercializzare verrà esteso anche alle imprese escluse dall'obbligo di dotarsene a titolo oneroso. In altre parole: chiunque potrà generare quote se dimostrerà di aver ottenuto risultati equivalenti sul fronte ambientale, per poi rivenderle a qualcun altro.

Un circuito virtuoso che sembra andare finalmente nella direzione di quanto legittimamente rivendicano le imprese, oppresse dalla crisi e dai costi crescenti dell'energia: guai a modulare gli obblighi legati alle quote ambientali provocando ulteriori oneri e costi. Poco consola e anzi preoccupa, su questo versante, l'idea della Commissione europea di ritirare dal mercato un numero di quote Ets per sostenerne il prezzo in picchiata. Un boomerang, afferma con buona ragione la Confindustria italiana.

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