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Questo articolo è stato pubblicato il 15 marzo 2013 alle ore 08:30.

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Quando stamane un diluvio di schede bianche – da sinistra e destra – finirà nelle urne della Camera e del Senato destinate a esprimere i presidenti delle assemblee, avremo la sensazione plastica del disastro che incombe sulla legislatura.
In teoria il ricorso all'astensione di massa è un'astuzia per favorire successive intese sui nomi: una tattica che vanta più di un precedente.

Ma nella sostanza, in questo Parlamento che presenta la novità assoluta dei tre blocchi inconciliabili, rischia di trasmettere all'esterno la drammatica immagine di un palazzo paralizzato e incapace di decidere. Due assemblee avvolte in un grande lenzuolo bianco. Tuttavia un gruppo ci sarà, pronto a votare i suoi candidati. E si tratterà, nemmeno a dirlo, del movimento Cinque Stelle. Non sarà facile poi spiegare all'opinione pubblica che chi vota scheda bianca difende le istituzioni, mentre chi sostiene un volto preciso, con un nome e un cognome, gioca allo sfascio... E in ogni caso, qual è la strategia degli astenuti? Allo stato delle cose è buio assoluto.
Bersani ha provato fino all'ultimo a sedurre i grillini, li ha seguiti persino nell'ipotesi di appoggiare l'arresto di Berlusconi; ma non sembra che abbia ottenuto molto. Grillo è persino irridente nei suoi confronti. Ha tirato fuori tutte le riserve sull'euro, argomento ovviamente inaccettabile per il Pd. E come se non bastasse insiste nel tormentone del finanziamento pubblico da abolire: tema di immediata presa nell'Italia di oggi, tale però da provocare sussulti dolorosi del partito bersaniano (quando in realtà non sarebbe difficile affrontarlo con spirito innovativo e capacità comunicativa, magari sulla base della proposta di Pellegrino Capaldo).

Si capisce dunque, per restare al Parlamento, che al momento la scheda bianca è un ponte verso il nulla. Nei confronti del Pdl i democratici hanno chiuso la porta e semmai sono gli emissari di Mario Monti a tenere in piedi una vaga prospettiva di mediazione. I centristi del premier manifestano in effetti in queste ore un'inedita attenzione verso la destra, ma c'è da dubitare che si spingeranno a votare con i berlusconiani un candidato alla presidenza del Senato. Quale, poi? L'unico candidato a cui Monti potrebbe pensare è se stesso, ma il repentino passaggio da Palazzo Chigi a Palazzo Madama, due cariche lievemente incompatibili, sarebbe un po' azzardato nella condizione attuale del paese.
Non bisogna dimenticare, a questo proposito, che l'incertezza italiana comincia a pesare. È stata avvertita nel Consiglio europeo, se n'è fatto testimone il presidente dell'Europarlamento, Shulz, ed è affiorata sulle pagine del settimanale "Spiegel", dove Beppe Grillo è definito senz'altro «l'uomo più pericoloso d'Europa». Sembra di capire che il tempo comincia a scarseggiare, visto che le presidenze di Camera e Senato sono appena l'antipasto di una serie di passaggi oscuri, destinati a culminare con la battaglia per il Quirinale: il grande scontro nel quale il Pdl vuole a tutti i costi essere coinvolto, ma in cui tutti hanno interessi, ambizioni e personali strategie.

Per adesso siamo al Parlamento in bianco. S'intende che due presidenti entro domani dovranno comunque essere eletti. E forse ha ragione Calderoli, esponente di quella Lega che sta cercando a sua volta un margine di movimento e di autonomia: la soluzione migliore sarebbe un esponente del Pdl alla Camera e uno del Pd (Anna Finocchiaro) al Senato. Razionale ma complicato. Mentre l'ipotesi che alla fine le due presidenze finiscano tutte e due al partito di Bersani è irrazionale, ma più probabile.

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