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Questo articolo è stato pubblicato il 18 marzo 2013 alle ore 07:35.

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Il tempo della crescita per l'Italia tornerà? I recenti dati sulla crisi mostrano che la recessione è stata più intensa nel nostro Paese e la ripresa, purtroppo, tarderà più che altrove.
Il sistema economico italiano appare strutturalmente caratterizzato, da una parte, da scarsi investimenti in attività di R&S (l'1,26% di spesa sul Pil, fra i più modesti d'Europa) e in istruzione; dall'altra, da una limitata capacità di generare innovazioni ed essere competitivo nelle industrie high-tech. L'origine di questa debolezza ha radici antiche, e va ricercata nella scarsa attenzione delle classi dirigenti per la cultura scientifica.

Nel corso del tempo, a questa carenza si è sommata la divergenza fra ricerca e capacità di creare innovazioni, e nel trasferimento dal campo scientifico alle applicazioni industriali, come dimostra la posizione di retroguardia nella classifica mondiale dei brevetti. A tutt'oggi mancano istituzioni centrali di coordinamento che favoriscano questo passaggio di conoscenza, e tale debolezza strutturale rischia di compromettere le potenzialità del Paese anche nell'agganciare saldamente la "prossima rivoluzione industriale", ossia le nanotecnologie.
I nanomateriali sono considerati tecnologie abilitanti fondamentali per l'innovazione e la creazione di nuovi prodotti. Il 3 ottobre 2012 la Commissione europea ha presentato la Communication on the Second Regulatory Review on Nanomaterials, unitamente al Commission Staff Working Paper che ne individua le tipologie, gli utilizzi e i rischi. Si prevede che i manufatti basati sulla nanotecnologia cresceranno da un volume globale di 200 miliardi di euro nel 2009 a 2 trilioni di euro nel 2015.

Intanto, sono numerose le start-up avviate in questo settore tecnologico che conta da 300 a 400mila addetti nella sola Ue. Negli anni recenti sono state sviluppate nuove applicazioni che includono centinaia di prodotti di consumo, dai cosmetici ai tessuti al cibo.
Ma le conquiste tecnologiche più promettenti derivano dalle applicazioni nel comparto medico, dell'energia, dell'ambiente, dell'Ict e dell'elettronica che avranno un ruolo chiave per la competitività in futuro.
La Ue raccoglie il 27% dei finanziamenti pubblici mondiali, il 17% di brevetti e il 15% di prodotti. Le nanotecnologie innovative richiedono massicci investimenti in infrastrutture di ricerca a carattere interdisciplinare, una manodopera altamente specializzata, nonché una forte interrelazione e mobilità fra accademia e industria.

Perciò Bruxelles ha varato il programma Horizon 2020 che dal 2014 investirà quasi 6 miliardi di euro per lo sviluppo di capacità industriali nelle cosiddette tecnologie abilitanti fondamentali, fra le quali micro e nanoelettronica. Per far crescere il nano-tech sono cruciali politiche e un ambiente propizi all'innovazione, in particolare per le Pmi. Come dimostra, d'altro canto, l'esperienza americana.
Con la National Nanotechnology Initiative (Nni), creata dall'amministrazione Clinton nel 2000, gli Usa hanno predisposto un ambizioso programma di R&S nel campo del nano-tech. La Nni sovrintende l'attività di ricerca di 25 agenzie federali e conta un gruppo di lavoro dedicato esclusivamente ad accelerare la creazione di nuovi prodotti e processi produttivi derivati dalle scoperte effettuate in sede scientifica, favorendo il trasferimento delle innovazioni all'industria.

L'impegno del governo federale a lungo termine, confermato nel 2003 da Bush, viene oggi proseguito dal presidente Obama. Intanto, alcune importanti istituzioni private operano alla frontiera più avanzata della ricerca, come il Mit presso il quale la stessa Eni ha creato, nel 2009, il "Solar Frontiers Center" per realizzare sinergie sul solare ad alta efficienza.
Se Stati Uniti, Cina e Giappone sono i maggiori sponsor delle nanotecnologie, Mosca è entrata prepotentemente nella competizione nel 2007 con una società di proprietà statale, RusNano, che ha il compito di promuovere il ruolo del Paese nel settore e ha già acquisito importanti partecipazioni estere.
In Italia gli organismi che, a vario titolo, si occupano di nanotecnologie, secondo i dati Airi-Nanotec It, sono 190: di questi il 55% è costituito da strutture pubbliche, mentre il restante 45% è basato su iniziative private. Le prime sono dislocate soprattutto in Lombardia e Lazio, il contributo di ricerca del settore privato spicca invece in Lombardia e Veneto.

Di fatto, nel settore dell'energia e dell'ambiente vi sono tutte le potenzialità perché il nostro Paese possa dire la sua in un comparto che sta già cambiando le nostre vite. La nuova frontiera tecnologica richiede un alto tasso di conoscenza e capitale. Perciò occorre superare le debolezze strutturali del passato investendo ampiamente, come in altri Paesi a tecnologia avanzata, in istruzione e ricerca, creando infrastrutture di coordinamento, agevolando l'accesso ai programmi comunitari e il trasferimento di conoscenza dai centri di ricerca all'industria.

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