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Questo articolo è stato pubblicato il 22 marzo 2013 alle ore 07:32.
L'ultima modifica è del 22 marzo 2013 alle ore 07:48.

Il bandolo resta nelle mani di Napolitano e di certo il capo dello Stato non se lo lascerà sfuggire. D'altra parte Bersani non ha fatto alcun sostanziale passo indietro. Toni educati, certo. Rispettosi verso il Presidente. Anche un omaggio alla «saggezza» di Napolitano, con una frase che in questi giorni è diventata quasi un manierismo nel Pd.

I dubbi che hanno agitato il segretario del Pd nelle ultime ore non sono arrivati al punto di modificare la sua complessiva strategia post-elettorale. Che parte da un presupposto: il leader vuole rimanere padrone della scena. Non può in alcun modo dare l'impressione ai suoi di abbandonare il campo perché vorrebbe dire esporsi a una sconfitta politica non rimediabile e perdere il partito.

Dove finora la maggioranza, egli ritiene, rimane contraria alle ipotesi di «larghe intese» con il centrodestra berlusconiano, comunque declinate. Tuttavia è uno scenario che potrebbe presto modificarsi. Se passa l'idea che la strada è aperta verso un governo di tipo istituzionale, ecco che molti nel Pd potrebbero rapidamente cambiare idea. Anzi, Bersani pensa che tanti stiano aspettando solo il momento propizio per assecondare Napolitano e favorire l'esecutivo «del presidente».

Dunque, non molla il centro della scena. È probabile che non sia la tattica più lungimirante, ma al momento è quella che garantisce il massimo di unità interna del Pd. Ne deriva che si attendono le decisioni del Quirinale. Ma se Bersani, titolare del gruppo più numeroso e della coalizione più votata, chiede l'incarico, ha certo il diritto di provare. L'obiettivo però deve essere una maggioranza chiara e ben definita, senza veti pregiudiziali. Una maggioranza che invece non s'intravede nemmeno nei suoi vaghi contorni.

Se stasera Bersani avrà il mandato, come è più che plausibile, dovrà muoversi lungo un sentiero prefissato e molto stretto. Ritiene di poter conquistare l'assenso della Lega con la sua insistenza sulla «Camera delle autonomie»? Dovrà dimostrarlo. Pensa ancora di impressionare i Cinque Stelle, nonostante il veto di Grillo? Lo vedremo presto. È vero quello che ha detto il leader del Pd: occorre dare avvio alla legislatura e serve un governo attento all'economia, capace d'impostare un programma di riforme: compresa la nuova legge elettorale. Ma non si può giocare a rimpiattino troppo a lungo.

Chi avrà l'incarico, in questo caso Bersani, dovrà muoversi a tutto campo in Parlamento per giungere in brevissimo tempo a un risultato utile. Del resto, le ipotesi sul tavolo non mancano. Le larghe intese, come si è visto, sono state proposte da un ampio arco di forze, da Berlusconi a Monti. Non sarà possibile nemmeno in questo caso una maggioranza politica, stante l'ostilità assoluta del centrosinistra: ma la fantasia politica può trovare varie formule e comunque le larghe intese restano la base naturale di una successiva intesa di tipo istituzionale.

E poi c'è Grillo, seconda forza del Parlamento. I suoi venti punti programmatici sono discutibili, ma rappresentano una base legittima di discussione. Cosa accadrebbe se la ruota girasse (per usare un'espressione cara a Bersani) fino a far emergere una personalità propensa a coinvolgere i Cinque Stelle, a dar loro quello spazio che finirebbe per alterare tutti gli equilibri parlamentari? È un rischio che nessuno può sottovalutare. In sostanza, Bersani avrà l'incarico ma dovrà fare attenzione ai suoi passi. Le forzature sono pericolose in questo momento. E occorrerà giocare a carte scoperte. Gli incarichi sono tutti «con riserva». Cioè sono volti a cercare una maggioranza, non ad andare avanti alla cieca.

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