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Questo articolo è stato pubblicato il 22 marzo 2013 alle ore 07:10.
L'ultima modifica è del 22 marzo 2013 alle ore 07:56.

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Al Centro federale di Formia Nicola poté vedere il suo idolo Pietro Mennea che correva e si allenava con una tenacia sbalorditiva: sembrava un velocista di un altro pianeta. Da prendere come modello. Da emulare. «Chi non sogna quello che vede, non vede». Finalmente capiva la massima che Anna citava nei momenti di euforia. E lui ora vedeva Mennea con la faccia stravolta dallo sforzo, la potenza dei muscoli nel fisico longilineo, la falcata nervosa, prepotente.

Vedeva la tenacia della volontà. Sognava di raggiungere ciò che vedeva. Medaglia di bronzo dei 200 metri alle olimpiadi di Monaco a vent'anni, campione d'Europa a Roma due anni dopo. «Quello farà il record mondiale dei 200 metri» gli profetizzò Carlo Vittori a ragion veduta. Era lui che lo allenava. «Guardalo come corre determinato, come si impegna senza cedimenti anche negli esercizi più massacranti. Da ragazzino era uguale: di notte gareggiava e vinceva per scommessa contro le auto sul corso di Barletta. Un talento ostinato». Erano accanto alla pista, Vittori e Nicola, e osservavano l'allenamento di Pietro Mennea.

«Anche tu andrai lontano, vedrai. Nei 100 metri, però. La forza fisica non ti manca. Sei più alto e più robusto di Pietro. Dipende tutto da te, dalla forza del tuo carattere e dalla tua intelligenza. Pietro è un ragazzo molto intelligente, oltre che un talento naturale». Nicola strinse i pugni dietro la schiena. Avrebbe voluto presentarsi a Mennea, dargli la mano e confessargli la sua ammirazione. Non ne ebbe il coraggio. L'unico rimpianto di quei giorni.

In seguito, incontrò il suo idolo in almeno quattro o cinque gare. E ogni volta tremò, passandogli accanto, e lo salutò con un timido cenno della testa. Mennea, concentratissimo, non se ne accorse. In quel periodo solo Mennea riusciva a batterlo, benché Nicola durante gli allenamenti facesse tempi strepitosi: due volte aveva eguagliato il record europeo di 10"01 che apparteneva proprio a Mennea. La vicinanza del suo idolo sulla pista gli neutralizzava la cattiveria necessaria per vincere, gli scombussolava la corsa fluida e aggressiva che di solito lo conduceva a toccare per primo il filo del traguardo. Da quando Mennea aveva stabilito a Città del Messico il record mondiale sui 200 con un insuperabile 19"72, era troppo grande la stima nei suoi confronti per dargli inconsciamente un dispiacere. Ne devi mangiare di polvere, si diceva, per avvicinarti ai suoi livelli.

Il brano in pagina è tratto dal volume Gli anni veloci (2009) di Carmine Abate, vincitore del Premio Campiello 2012 con La collina del vento

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