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Questo articolo è stato pubblicato il 28 marzo 2013 alle ore 07:20.
L'intervento di Gianluca Comin, pubblicato sul Sole 24 Ore del 21 marzo scorso con il titolo I punti irrisolti del decreto su rapporto imprese-cultura, ha argomentato alcune critiche alle recenti Norme tecniche e linee guida applicative delle disposizioni in materia di sponsorizzazioni di beni culturali. Lo ha fatto - costume non troppo praticato da chi più frequentemente scrive di cultura e beni culturali - in termini pacati e con l'intento di fornire utili suggerimenti, sulla base della propria esperienza e non di assunti ideologici.
Rispondere ai rilievi critici è pertanto, in questo caso, non solo un dovere da parte mia, ma anche il modo per proseguire l'approfondimento di questioni tuttora aperte, cercando così di offrire alle nuove Camere e al prossimo Ministro spunti idonei a migliorare ulteriormente l'intera e complessa materia delle sponsorizzazioni.
Gianluca Comin, dopo aver sottolineato che il provvedimento del Ministero era «atteso da tempo», indica la «questione di prospettiva» rimasta irrisolta o ancora un po' nebulosa. A suo giudizio, anziché sburocratizzare e agevolare forme funzionalmente collaborative fra pubblico-statale e privato-sociale, le norme si limitano a regolare il confronto concorrenziale tra le aziende (solitamente poche o pochissime) che «si sfidano per conquistare il diritto al sostegno di un'opera».
Per capire il senso e le motivazioni sostanziali delle Linee guida occorre chiarire a quali principi si siano ispirate. Esse, infatti, riguardano specificamente l'attuazione dell'art. 199-bis, inserito nel codice dei contratti pubblici dal decreto legge n. 5 del 2012. Previste dal medesimo decreto, le Linee guida altro non avrebbero potuto fare che disciplinare il confronto concorrenziale fra le imprese, poiché tale è la finalità loro assegnata dalla legge. Immediatamente alle spalle di una tale legge - non va dimenticato - vi era la paralizzante litigiosità, scatenatasi di fronte al primo e paradigmatico tentativo di sponsorizzazione del restauro di un bene culturale unico al mondo, quale il Colosseo. Occorre altresì ricordare che su tale questione sono intervenute due Autorità indipendenti (quella che si occupa dei contratti pubblici e l'Antitrust), esprimendo posizioni non del tutto collimanti tra loro.
Tenendo in debito conto le non poche polemiche e i numerosi ricorsi legati alle modalità con le quali si era pervenuti alla scelta del partner privato per il restauro del Colosseo (ma anche prestando la necessaria attenzione a quanto vanno suggerendo da tempo associazioni e realtà d'impresa che concretamente sostengono conservazione e valorizzazione dei beni culturali), le Linee guida si articolano attorno a un principio-cardine. Che è il seguente: poiché si tratta di "beni pubblici", la scelta delle procedure con cui abbinare il nome di una certa impresa a un monumento deve avvenire in base a regole chiare e predeterminate, così da evitare ogni ipotesi o sospetto di aver operato in assenza, o al di fuori, di regole prestabilite e controllabili. La "trasparenza" è reale quando nessun segmento della procedura rimane nella penombra. Le norme in questione, se - come credo - sono chiare nei loro principi, sono anche più innovative di quanto non possano apparire a prima vista. Proprio per evitare equivoci e appesantimenti burocratici, le norme hanno precisato che l'intera area del mecenatismo, delle elargizioni liberali, delle partnership con finalità di ricerca e studio, della responsabilità e degli impegni sociali delle imprese, sta fuori dello schema proprio della sponsorizzazione: tutte queste attività, pertanto, sono e restano del tutto escluse dal problema del confronto concorrenziale e possono continuare a svolgersi in un contesto di totale affrancamento da inutili burocratizzazioni. Inoltre, anche per quanto riguarda le sponsorizzazioni, le Linee guida si sono preoccupate di sciogliere anticipatamente tutti i nodi interpretativi e applicativi, al fine di consentire la creazione di un ambiente giuridico certo, chiaro e il più possibile semplice, entro il quale dare finalmente impulso alle sponsorizzazioni. Lo hanno fatto anche precisando le modalità di coordinamento con la programmazione degli interventi di restauro dei beni culturali, in riferimento alla "compatibilità" rispetto al valore culturale dei beni (evitando, per esempio, gli abusi della cartellonistica).
Un'ultima considerazione. Le Linee guida tendono a favorire una progressiva uscita da quella logica emergenziale di rincorsa delle urgenze, che ha sin qui prevalentemente caratterizzato le forme di collaborazione fra pubblico-statale e privato-sociale (o di necessitato sostegno del secondo al primo). Se recepite sino in fondo, le norme offrono infatti un modello innovativo di una tale collaborazione. Esse delineano una programmazione razionale degli interventi. E, tenendo ben fermo il ruolo propositivo e orientativo - rispetto alle priorità individuabili - delle competenze del Ministero e delle Soprintendenze nelle varie articolazioni territoriali, seguono la via maestra di una conservazione e valorizzazione dei beni culturali, programmate e (in tutti i casi in cui è possibile) intelligentemente e lealmente concordate. È un passo in avanti, a me pare, verso quel nuovo "welfare culturale" che il Paese deve costruire. E che è parte costitutiva di un moderno, migliore rapporto fra cultura e sviluppo.
Lorenzo Ornaghi è ministro per i Beni e le Attività Culturali
©RIPRODUZIONE RISERVATA
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