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Questo articolo è stato pubblicato il 02 aprile 2013 alle ore 07:10.

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Uno stallo politico-istituzionale che tale resta trascorso più di un mese dalle elezioni è una cattiva notizia. Nessuno può dire con ragionevole certezza se l'intelligente pazienza dei mercati sia esaurita o no e se la rete di sicurezza informale che si è cercato di tessere sotto i piedi malfermi dell'Italia in caso di tempesta reggerà e quanto reggerà.

Non sappiamo nemmeno cosa possano davvero aver capito fino in fondo, i mercati, l'Europa e gli Stati Uniti, di una situazione che non ha precedenti per un Paese che pure ha coniato le «convergenze politiche parallele» e che oggi si ritrova con: un Presidente della Repubblica (in questa fase «dentista» istituzionale, l'ha definito Giuliano Amato) che non può sciogliere le Camere; un Governo dimissionario non sfiduciato dal vecchio Parlamento ma senza la fiducia del nuovo e comunque uscito molto male dal voto di febbraio; un leader di partito (Pierluigi Bersani del Pd, il vincente-perdente delle elezioni) formalmente ancora pre-incaricato dal Quirinale per la formazione di un nuovo Governo; due nuove commissioni di esperti volute dal presidente Napolitano per tracciare un programma di Governo che, se condiviso, potrebbe tornare utile al Presidente della Repubblica in ricognizione per un nuovo esecutivo (ma sul lavoro dei dieci saggi-facilitatori la sfiducia di Pd,Pdl e M5Stelle è già palese).
Insomma, una sola cosa è certa: la terza economia d'Europa e seconda potenza manifatturiera alle spalle della Germania è, di nuovo, la sorvegliata speciale per eccellenza. Una condizione che scomoda è dire nulla, visto che può essere sufficiente un dato (oggi ad esempio è atteso quello sull'industria manifatturiera dei maggiori Paesi europei) a terremotare un equilibrio fragile in un contesto che vede il nome dell'Italia, piaccia o no, pericolosamente accostato in sequenza a quello di Cipro. E con il presidente francese François Hollande che dall'alto del suo rapporto deficit/Pil al 4,8%, ben sopra al limite del 3% invece rispettato dall'Italia, indica Roma come il laboratorio della «deriva populista».

U n Governo che governasse nel pieno dei suoi poteri e con alla spalle una solida maggioranza era, ovviamente, la speranza più gettonata del dopo voto. Non abbiamo necessità di nuove campagne elettorali, della ferrea trama di veti incrociati che abbiamo sotto gli occhi, di astuzie tattiche. Piuttosto il nostro Paese (basta prendere atto delle aspettative di famiglie e imprese) vorrebbe una svolta – la discontinuità più volte richiamata dal «Sole 24 Ore» – capace di ribaltare la sfiducia in fiducia e sghiacciare l'economia reale dopo tanta austerità fiscale le cui scadenze (a partire da acconto Imu e aumento dell'Iva) si avvicinano di nuovo. Si tratta di un percorso lineare, rispettoso degli impegni assunti in Europa ma non per questo rinunciatario e, soprattutto, realista.
In tutti i sensi, come l'intervista del nostro giornale al capo economista del Fondo moneteario Olivier Blanchard ha spiegato molto bene. «Nel breve periodo – ha detto – il risanamento fiscale contrae la domanda e il reddito. Se la crescita è molto bassa, le sofferenze aumentaranno molto rapidamente, le banche saranno in difficoltà, il credito diventerà più scarso ed il rischio è una crescita ancora più bassa. Questo suggerisce di procedere lentamente, specialmente se la crescita è già molto bassa. Allo stesso tempo se uno dice "comincerò l'anno prossimo" non è credibile. Se i mercati concedono un po' di spazio, la risposta è procedere a un passo costante e misurato. Non più lento, né più rapido».

Quanto spazio possano, da questa mattina, concederci i mercati nessuno può dirlo. Di sicuro la perdurante paralisi politica né abbassa lo spread né rende più favorevole il giudizio delle agenzie di rating. Il tempo è anzi abbondantemente già scaduto. E comunque sulla soluzione di un grande problema, quello dello sblocco dei debiti della Pubblica amministrazione, possiamo e dobbiamo essere nel frattempo rapidissimi. In questo caso, la ricerca di un nuovo Governo e il profilo dei poteri del Governo dimissionario in carica per l'ordinaria amministrazione non sono oggetto di discussione. La pratica è aperta da tempo (troppo) e serve un decreto per inziare a re-immettere liquidità (e legalità, e dunque fiducia) in un sistema desertificato. Lo si faccia e basta.

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