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Questo articolo è stato pubblicato il 03 aprile 2013 alle ore 07:25.

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Lo sblocco dei debiti della pubblica amministrazione verso le imprese fornitrici (una somma che ad oggi è stimabile in un centinaio di miliardi complessivi) doveva servire – oltre che a immettere un'importante dose di liquidità in un sistema economico a secco da tempo – a creare quel bene immateriale e preziosissimo che è la fiducia. La fiducia è oggi la principale infrastruttura intangibile per costruire un futuro finalmente positivo e ottimista di cui tanto sente la mancanza il Paese e soprattutto l'economia reale, mai così lontana dai plumbei scenari della politica.

Se il testo del decreto atteso per oggi non cambierà nottetempo, invece, si rischia di arrivare a un risultato sì "epocale" ma svuotato del suo senso profondo di antidoto alla recessione e di esperimento virtuoso di semplificazione della burocrazia altrimenti opprimente e nemica dello sviluppo. Con un rischio in più: che la scelta di anticipare al 2013 le addizionali Irpef per le Regioni (in misura peraltro quasi tripla rispetto alla percentuale prevista in un primo tempo a far data dal 2014) faccia pensare che, alla fine, quel provvedimento lo paghino i cittadini due volte: con l'aumento della pressione fiscale e con l'impatto inevitabilmente recessivo e anti-consumi legato alla natura stessa di quel tipo di tassazione. La notte davvero deve portare consiglio. Non è chiara, poi, l'entità effettiva delle somme messe a disposizione: a un primo annuncio di 40 miliardi sbloccati nel biennio 2013-14, si arriva, nel testo messo a punto ieri, «fino a» 18,5 miliardi quest'anno e «fino a» 20 l'anno prossimo. Ma soprattutto non si è escogitato un sistema di obbligo effettivo per gli Enti a pagare i loro debiti, mentre la norma sembra accanirsi con penalizzazioni future per chi abbia scelto di erogare le somme dovute.

Una doppia azione, probabilmente decisa in ossequio ai dettati della Ue, ma che rischia di indurre un risultato opposto a quello perseguito e più che facilitare i pagamenti ne ostacola lo sblocco. Il meccanismo, del resto, è complesso e prevede una comunicazione tassativa entro il 30 aprile, attraverso una piattaforma web (ma riuscirà l'amministrazione a creare quel sito in una ventina di giorni?) degli «spazi finanziari» di cui ogni amministrazione ha necessità per fra fronte ai pagamenti arretrati ai fornitori. L'Economia organizza dunque le emissioni di titoli di Stato necessari a coprire quel fabbisogno. Un sistema centralizzato di erogazione di prestiti a lungo termine agli Enti locali completa il flusso di liquidità al sistema (ma a che tasso? e se diventasse proibitivo?): ci vorranno però almeno dieci provvedimenti attuativi per arrivare al vero risultato e questo ennesimo percorso a ostacoli tradisce lo spirito della risoluzione votata alla Camera dove si chiedevano «interventi di immediata eseguibilità improntati a criteri di semplificazione».

In sostanza, ancora una volta, nella filigrana del decreto si vede l'impronta arcigna della Ragioneria laddove sono previti blocchi per 5 anni negli investimenti per gli enti che abbiano fatto ricorso ai fondi per saldare i fornitori chiedendo di "sforare" il patto di stabilità, come peraltro concesso dalla legge in accordo con le aperture concesse da Bruxelles per questa specifica circostanza. Blocchi o tagli lineari. Conseguenza prevedibile: un atteggiamento più che prudente e limitato da parte degli Enti locali a far uso dei nuovi strumenti di sblocco della liquidità oltre, naturalmente, a un generale impatto recessivo di tutto l'impianto della norma.
Si parla di generici «spazi finanziari» di cui abbiano necessità le amministrazioni per pagare i propri debiti, ma non di elenchi verificabili di fornitori che renda possibile, eventualmente, a chi ne fosse rimasto escluso (se un Comune non fornisce i dati che succede?) di segnalarlo e di rientrare tra i creditori. Anche questa è una lacuna di impostazione del decreto. Così come è lacunoso il testo laddove non prevede l'inclusione delle cosiddette società partecipate tra i soggetti aventi diritto ai pagamenti: soprattutto nel Mezzogiorno sono moltissime le aziende miste in attesa di vedere saldate le fatture per servizi e forniture già prestati.

La farraginosità e i rimandi a normative di secondo grado rischiano di ridurre l'effetto-turbo che invece questo tipo di provvedimento avrebbe dovuto garantire al sistema economico. Risulterà frustrante, poi, per molti imprenditori, la mancata possibilità di compensare i crediti vantati presso le amministrazioni con eventuali ammanchi fiscali o cotributivi. Questi mondi continueranno a non comunicare e chi, ad esempio, vantasse un credito di mille verso un'amministrazione ma fosse debitore di una somma 10 a un ente previdenziale continuerebbe a rischiare addirittura una condanna penale. Peccato. Ben venga il decreto agognato, ma che non si traduca in un'occasione mancata.

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