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Questo articolo è stato pubblicato il 04 aprile 2013 alle ore 06:40.

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Il sogno diventato realtà può trasformarsi in un incubo: il parco industriale di Kaesong, simbolo massimo e ormai unico della collaborazione tra le due Coree tecnicamente in guerra, appare a rischio di chiusura dopo gli ostacoli alla circolazione del personale sudcoreano imposti ieri dal regime di Pyongyang.

Se ne sono accorti anche i mercati finanziari, che di solito non danno peso alle minacce verbali di guerra provenienti dal Nord: il won si è indebolito fino a toccare i minimi da sei mesi e la Borsa di Seul ha girato al ribasso. Per molti investitori, Kaesong - frutto del vertice bilaterale del 2000 e inaugurato a fine 2004 - fa da cartina al tornasole del livello di pericolosità nelle tensioni bilaterali: non ha cessato l'attività nemmeno quando, nel 2010, la corvetta sudcoreana Cheonan è stata affondata e l'artiglieria del Nord ha sparato sull'isola di Yeongpyeong uccidendo quattro persone. Anche ieri è proseguito il lavoro nelle fabbriche del parco produttivo che prende il nome dalla città limitrofa (ex capitale della nazione), ma da Seul (distante solo una settantina di km) hanno dovuto minacciare severe misure se i cittadini sudcoreani dovessero essere “sequestrati”.
Pensare che alcuni anni fa Kaesong sembrava destinata a un luminoso avvenire: nei progetti della Hyundai Asan - l'affiliata del conglomerato Hyundai che ne ha curato nascita e sviluppo - doveva diventare una nuova Hong Kong di produzione e commerci e una nuova Macao di insediamenti turistici (con tanto di campi da golf e casinò), in attesa di caratterizzarsi come lo snodo fondamentale della Via della Seta del XXI secolo, ossia come il nodo stradale e ferroviario dell'Eurasia (dal quale sarebbero passate le merci sudcoreane e giapponesi dirette verso l'Europa). Avrebbe dovuto dare lavoro a quasi un milione di persone e attirare forti investimenti stranieri anche se la comunicazione con il mondo esterno avveniva via fax: niente Internet e telefoni quasi proibiti. Più modestamente, oggi impiega poco più di 50mila nordcoreani, in 123 aziende gestite da circa 800 manager sudcoreani, per un valore annuale della produzione intorno a 470 milioni di dollari.

La filosofia resta quella originaria: sposare capitali e competenze del Sud con il più basso costo della manodopera del Nord in attività ad alta intensità di lavoro (dal tessile al calzaturiero), per creare una zona economica speciale più competitiva rispetto alla Cina e al Sud est asiatico (con salari intorno ai 150 dollari al mese). Molte fabbriche di Kaesong sembrano quelle da cartolina degli anni 50, con lavoratori a perdita d'occhio a rifinire scarponi da sci o capi d'abbigliamento (magari anche con etichette discutibili, al confine del falso d'autore o anche oltre). È fonte di preziosa valuta pregiata per l'impoverito Nord, ma guai ad affermarlo: nei giorni scorsi la stampa del regime ha scritto che Kaesong sarà chiusa se al Sud non la smettono di pensare che il Nord ne abbia un assoluto bisogno. Kaesong avrebbe dovuto diventare anche l'occasione per l'Unione Europea di evidenziare il suo sostegno al dialogo intercoreano e all'avvio di processi di riforma economica nel regno-eremita: all'inizio delle discussioni per un Free Trade Agreement con Seul, ai rappresentanti di Bruxelles fu chiesto di accettare come Made in Korea le produzioni dell'enclave a pochi km dalla frontiera. Richiesta imbarazzante, visto che il complesso industriale, se si fosse sviluppato secondo i piani, avrebbe potuto invadere i Paesi europei con un Made in Kaesong ultraconcorrenziale e con controlli aleatori. A risolvere il problema fu l'irrigidimento dell'Amministrazione dell'ex presidente Lee Myung bak di fronte alle crescenti provocazioni di Pyongyang, che portarono alla chiusura di altri esempi di cooperazione (come l'insediamento turistico del monte Kumgang, soppresso come destinazione dopo l'uccisione di una turista che si era avventurata in un'area proibita). Seul non insistette più e l'area fu lasciata fuori dal perimetro dell'accordo di libero scambio con la Ue. «Per ora non ci risulta che la produzione si sia fermata - dice al telefono da Seul un manager tedesco che ha una joint venture con un'azienda sudcoreana presente a Kaesong - Certo, gli ostacoli alla libera circolazione attraverso la frontiera fanno pensare male. Speriamo che, come in passato, Kaesong resti una garanzia contro l'avventurismo militare».

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