Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 07 aprile 2013 alle ore 13:41.
L'ultima modifica è del 07 aprile 2013 alle ore 14:00.

My24

All'ultimo posto in Europa nella spesa in cultura e al penultimo nel finanziare l'istruzione, tra i primissimi invece quando si tratta di pagare gli interessi sul debito pubblico. Sta in questi tre primati europei, tutti negativi, la sconfortante fotografia dell'Italia di oggi. Un Paese che si dissangua nel presente per onorare il macigno dei debiti che pesa sempre più a causa di uno spread sui titoli di Stato spesso fuori controllo e rinuncia al futuro stringendo la cinghia su investimenti cruciali come quelli sul nostro patrimonio culturale, storico, artistico e sulla scuola.

Gli ultimi numeri inequivocabili che confermano le emergenze nazionali arrivano da uno studio dell'Eurostat dove si compara la spesa pubblica tra i 27 Paesi dell'Unione europea. Sotto la lente le voci più importanti: dalla protezione sociale - sulla quale l'Italia è sopra la media Ue soprattutto per il peso delle pensioni piuttosto che su disabilità e politiche per il lavoro - alla sanità (più o meno in linea con gli altri), dalla difesa all'ambiente, fino all'istruzione appunto e alla cultura. Un fronte, quest'ultimo, sul quale la classifica è impietosa: l'Italia è il fanalino di coda in Europa.

Per sostenere i nostri innumerevoli beni culturali spendiamo l'1,1% delle risorse pubbliche a fronte del 2,2% della media Ue a 27. Senza scomodare i primi della classifica - Estonia e Lettonia che mettono da parte cinque e quattro volte più di noi (5% e 4,2%) - è sufficiente guardare cosa fanno i Paesi più vicini a noi: dalla Germania che dedica a questa voce l'1,8% del budget pubblico alla Francia che invece destina il 2,5%, dalla Spagna che arriva al 3,3% al Regno Unito che raggiunge il 2,1 per cento. Si avvicina a noi solo la Grecia, penultima con l'1,2% della spesa pubblica destinata alla cultura.

Tutti gli altri Paesi non scendono mai sotto l'1,8%. Una débâcle se si pensa che abbiamo il più grande patrimonio del mondo. E una nuova dimostrazione che nel nostro Paese i beni culturali sono considerati ingombranti beni improduttivi da mantenere invece che una incredibile opportunità di sviluppo. Una visione smentita dai fatti se è vero che il sistema della produzione culturale e creativa è non solo un meta-settore industriale a tutti gli effetti, ma anche uno dei più grandi: il suo indotto, fatto di turismo, nuove imprese, presenze di stranieri e investimenti esteri, frutta ogni anno al Paese 68 miliardi di euro, il 5% della ricchezza totale, dando lavoro ad oltre 1,5 milioni di persone, il 5,7% del dato nazionale. Da qui l'idea del Manifesto per la cultura del Sole 24 Ore del febbraio 2012 con i suoi cinque punti (nascita di una Costituente; strategie di lungo periodo; cooperazione tra ministeri; arte a scuola e cultura scientifica; valorizzazione del merito, collaborazione pubblico-privato, sgravi ed equità fiscale) poi sfociato negli Stati generali della cultura a metà novembre del 2012 durante i quali è stato di nuovo lanciato un grido di allarme sull'abbandono di questo capitale straordinario.

Il dato è ancora più negativo se si guarda agli investimenti nella scuola, lì dove si custodisce la cultura e dove cresce il futuro. Siamo penultimi (8,5% a fronte del 10,9% della media Ue a 27), solo la Grecia fa peggio . Anche se il ministero dell'Istruzione ieri in una nota invitava a calcolare le risorse depurando la spesa pubblica dagli interessi sul debito. Cosa che ci farebbe salire sopra il 9%, poco sotto la media Ue. E sì perché secondo Eurostat nel 2011 la spesa pubblica (al 49,1% sul Pil) è diminuita per tutte le voci fuorché i servizi generali, dove ci sono gli interessi sul debito. Qui l'Italia segna un 17,3% sulla spesa complessiva (13,5% la media Ue), dietro solo alla Grecia (24,6%), a Cipro (24,1%) e Ungheria (17,5%). Come dire che il mostro del debito cannibalizza anche cultura e istruzione. In sintesi: si mangia il futuro.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Shopping24

Dai nostri archivi