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Questo articolo è stato pubblicato il 19 aprile 2013 alle ore 07:10.
L'ultima modifica è del 19 aprile 2013 alle ore 08:36.

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Domenica a Berlino nell'arena politica tedesca il nazionalismo ha fatto la sua ricomparsa ufficiale. Niente facce feroci o vocazioni impresentabili alla maniera neonazista. Invece il volto compassato, democratico e ineccepibile di Alternativa per la Germania, il nuovo partito che promuove il ritorno al marco attraverso la distruzione ordinata e pacifica dell'euro. Che non si vuole anti-europeista ma solo anti-euro.

Domenica, in un castello a pochi chilometri da Berlino, Angela Merkel ha concluso un weekend trascorso non con il presidente francese François Hollande (come da tradizione) ma con il premier inglese David Cameron e famiglia a parlare di Europa, delle riforme da mettere in cantiere, del suo futuro. Londra vuole rinegoziare la partnership, riappropriarsi di alcune politiche. Il cancelliere vorrebbe a tutti i costi evitarlo. Al contrario di tanti Governi dell'Unione che vedrebbero di buon occhio l'ipotesi di un divorzio consensuale, la fine della guerriglia e delle infinite eccezioni britanniche che troppo spesso bloccano i progressi sulla strada dell'integrazione.

Non sono semplici coincidenze temporali a unire i due eventi ma i profondi mutamenti compiutisi nel pianeta Germania riunificata: la nuova percezione dell'Europa e della difesa degli interessi nazionali tedeschi in Europa. Soltanto qualche anno fa quegli interessi erano un tabù assoluto. «Sapevo che non avrei mai vinto in Germania un referendum sulla rinuncia al marco. Ma volevo l'euro perché per me significava pace e irreversibilità del progetto europeo», ha confessato tempo fa Helmut Kohl ammettendo, pur di creare la moneta unica, di essersi comportato «come un dittatore».

Il tabù è saltato: oggi a Berlino è di casa il nazionalismo in quasi tutte le sue espressioni, compresa quella che sogna e ora anche milita in un partito per il ritorno al marco raccogliendo il consenso potenziale di un quarto dei tedeschi. Caduto lo storico asse privilegiato con Parigi, che ha perso il ruolo di indiscusso demiurgo della progettualità europea, il dialogo costruttivo con Londra, l'arci-nemico di ieri in quanto euro-scettico conclamato, diventa una scelta logica. Le divisioni ormai sono molto meno profonde di quanto non appaia.

Con il nazionalismo tedesco senza più complessi né pudori in una Germania più "inglese" quando guarda all'Europa, l'euro diventa sempre meno un progetto politico comune e sempre più una partita contabile, dove quel che conta è il dare e l'avere, il nudo computo di danni e benefici per ciascuno.

Se questa è la nuova cultura europea prevalente a Berlino, e di prove a carico ce ne sono già state tante, che in settembre Alternativa per la Germania riesca o no a raggiungere il 5% del voti necessario per entrare al Bundestag diventa persino secondario. Del resto Bernd Lucke, il suo leader, è un transfugo dal partito della Merkel, "tesserato" da ben 33 anni. «Se crolla l'euro non crolla l'Europa ma il cancelliere», l'altro ieri tuonava il nostro tra le ovazioni del pubblico.

In realtà Lucke si limita a portare alle estreme conseguenze il nuovo spirito dei tempi. Che si è già ampiamente espresso nella gestione della crisi della moneta unica. Dove alla vecchia solidarietà è subentrata la cosiddetta responsabilità: chi sbaglia paga e i cocci sono suoi, se poi i più forti si rafforzano grazie alle disgrazie dei più deboli, peggio per questi ultimi che, si spera, impareranno meglio la lezione. Lo si è visto in Grecia, lo si è visto a Cipro. Nessuno è stato tenero neanche con Portogallo e Irlanda. Né con la Spagna.

Dalla logica dell'ognun per sé alla tranquilla dissoluzione del club, come predica Ag, il passo potrebbe essere breve. E conseguente. Perché in fondo è già nell'ordine delle cose. Se non è accaduto è solo perché la classe dirigente in Germania, a grande maggioranza, ritiene che la caduta dell'euro costerebbe a tutti molto di più della sua sopravvivenza.

In questa Europa, con questa Germania che si intende solo con chi sostanzialmente sa salvarsi da solo, sbaglierebbe l'Italia a illudersi di cavarsela con qualche rattoppo al suo modello politico ed economico in crisi. E a credere di appartenere per sempre al club del Grandi per "diritto fondante" dell'Unione. O il nostro Paese si prepara a diventare auto-immune da ogni tipo di aiuto europeo e a camminare diritto sulle sue gambe o deve rassegnarsi a tempi grami. Ben più duri degli attuali. Il prossimo Governo non potrà ignorarlo.

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