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Questo articolo è stato pubblicato il 25 aprile 2013 alle ore 08:09.
L'ultima modifica è del 25 aprile 2013 alle ore 08:52.

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Il Presidente della Bce e altri autorevoli personalità, anche del mondo bancario, hanno recentemente sottolineato le difficoltà del credito alle Pmi. Che fare?
Prima di tutto è necessario capire perchè le Pmi lamentino, più di altre imprese, il razionamento del credito e gli alti tassi di interesse. Per ogni credito concesso la banca sostiene dei costi: per il reperimento delle risorse (funding), per gli accontamenti di capitale richiesti dalla normativa prudenziale (in base agli accordi di Basilea) e per le procedure di valutazione della rischiosità dell'impresa. Mentre il costo del funding è proporzionale all'ammontare del credito concesso in misura non differente dal funding necessario per il credito alle grandi imprese, i costi per la valutazione del rischio di credito dipendono dal costo di reperimento delle informazioni necessarie.

Dalla valutazione del rischio di credito dipende poi l'ammontare di capitale da accontanare (assorbimento di capitale). Poichè l'ammontare del credito medio alle Pmi è ovviamente inferiore all'ammontare del credito alle grandi imprese, per avere lo stesso costo per unità di credito le banche tendono a comprimere gli unici costi variabili: quelli del reperimento delle informazioni. Questo avviene utilizzando modelli di valutazione del merito di credito (scoring) semplificati rispetto ai modelli più complessi utilizzati per le grandi imprese (rating) e minimizzando l'utilizzo delle cosidette informationi soft, ossia le informazioni acquisite dalla relazione personale tra imprenditore e funzionario di banca. Questo comporta, da parte delle banche, un maggiore razionamento del credito (soprattutto alle Pmi che avvicinano la banca per la prima volta), la richiesta di maggiori garanzie, la preferenza per prestiti di durata inferiore (un problema messo in rilievo da Pellegrino Capaldo su questo giornale).

Le banche locali, più piccole, offrono una possibile soluzione? In parte sì, ma ad un prezzo. Come mostra una serie di ricerche condotte dalla Banca d'Italia e presentate recentemente in un convegno a Modena, è vero che le banche locali tendono a razionare in misura minore il credito alle Pmi. Ma è anche vero che esse tendono ad utilizzare meno i modelli di scoring e ad avere quindi un portafoglio di crediti di qualità inferiore. Le banche più grandi, invece, utilizzano in maniera più incisiva tali modelli nella determinazione del tasso di interesse (proporzionato al rischio) soprattutto se affiancano ai modelli l'utilizzo delle informazioni soft. Tra le banche nazionali (più grandi), infatti, quelle più decentralizzate mostrano una minore propensione al razionamento del credito alle Pmi.

Che fare dunque? Le stesse ricerche della Banca d'Italia mostrano che la qualità della governance delle banche (in termini di competenza e diversità del consiglio di ammministrazione) e la loro solidità (in termini di capitale e di liquidità) è importante per garantire continuità di credito alle Pmi. Anche i Confidi svolgono un ruolo importante nel garantire continuità di credito, anche se non sono risultati altrettanto efficaci nel mantenere la qualità del credito garantito. Ma questo non basta.

È necessario ridurre i costi di reperimento delle informazioni, ridurre il costo del funding e favorire fonti di finanziamento alternative al credito bancario. Nella prima direzione va la proposta fatta da Roberto Napoletano, ulteriormente elaborata da Pellegrino Capaldo, a favore delle imprese in crisi finanziaria ma ancora vitali. Nella seconda e nella terza le proposte di Luigi Guiso e Guido Tabellini. A proposito della cartolarizzazione dei crediti alle Pmi vale la pena menzionare una recente iniziativa europea, concepita qualche anno fa da Alessandro Profumo, sviluppata dalle grandi banche e da alcuni grandi investitori e sostenuta dalla Bce e dalla Bei: il mercato delle Prime collateralised security (http://pcsmarket.org). Il Pcs stabilisce standard di strutturazione e trasparenza delle cartolarizzazioni e di qualità delle attività sottostanti (inclusi i crediti alle Pmi) condivisi da emittenti ed investitori e tali da soddisfare le comprensibili preocupazioni delle autorità e da permettere in prospettiva la nascita di un mercato secondario che ne garantisca la liquidità.

Sergio.lugaresi@guest.unimi.it

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