Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 27 aprile 2013 alle ore 09:10.

My24

Il 2013 sarà per l'Eurozona un anno di recessione. La periferia è invischiata in un circolo vizioso tra recessione e austerità e rischia di trascinare con sé il continente. L'acronimo Fish (Francia-Italia-Spagna-Olanda) si aggiunge ai Piigs. Gli effetti dell'austerità hanno rilanciato il dibattito sulla dimensione dei moltiplicatori fiscali.
Il moltiplicatore misura l'effetto di una variazione del deficit pubblico sul Pil. Può essere elevato se la spesa pubblica innesca, aumentando occupazione e potere d'acquisto del settore privato, spese aggiuntive da parte di quest'ultimo. Ma può essere inferiore a uno se la spesa pubblica non va ad aggiungersi a quella privata ma a sostituirla (crowding out). A sua volta, il deficit pubblico è influenzato dal Pil: nei periodi di bassa crescita diminuiscono le entrate fiscali e aumenta la spesa sociale, aumentando il deficit. Se il moltiplicatore è elevato, un consolidamento delle finanze pubbliche avrà un effetto recessivo importante. E la recessione può avere impatto negativo sul deficit, se questo è sensibile al ciclo. L'austerità può essere recessiva e controproducente.

Prima della crisi, Fmi, Bce, Commissione, tradizionalmente scettici sul ruolo dell'intervento pubblico in economia, si accordavano su un valore del moltiplicatore abbastanza basso, intorno a 0,5. Una riduzione del deficit di un punto comporterebbe una riduzione del Pil di mezzo punto. I piani di salvataggio per i Paesi in difficoltà si basavano su queste stime: per quanto draconiana, l'austerità avrebbe provocato al più una blanda recessione, e avrebbe rimesso in sesto le finanze pubbliche, così stimolando domanda privata e crescita.

Non è andata così. Il valore del moltiplicatore dipende da fattori che i modelli di Fondo e Commissione tendono a sottostimare. Per fare due esempi, se i tassi di interesse della Bce sono già bassi, essa non può attenuare gli effetti recessivi della restrizione fiscale con un'espansione monetaria. E se anche i partner commerciali di un Paese mettono in atto politiche restrittive, il calo della domanda interna non può essere compensato da un aumento dell'export. Non è un caso che esportazioni e tassi di interesse siano alla base degli episodi di "restrizioni fiscali espansive" che gli alfieri dell'austerità hanno portato a sostegno delle proprie tesi.

Negli ultimi anni si sono moltiplicati gli sforzi dei ricercatori per ovviare alla discrasia tra le stime su cui si basano le politiche di austerità, e la recessione in cui sono piombati i Paesi che le applicano. Questa ricerca ha riproposto vecchie verità. Il moltiplicatore è più alto in tempo di crisi, quando il settore privato riduce la spesa (perché cerca di ridurre l'indebitamento, o perché ha difficoltà a contrarre prestiti), e quando la politica monetaria non è efficace. Poi, un'austerità basata su tagli di spesa è più recessiva di una basata su aumento delle tasse. In tempi normali sarebbe vero il contrario, perché un aumento delle tasse disincentiverebbe l'offerta di lavoro. Oggi tuttavia il problema non è l'offerta ma la domanda di lavoro; in periodi di crisi la spesa privata risponde più all'incertezza e ai livelli di debito che al livello di imposizione.

Se i moltiplicatori in questa crisi sono più alti di quanto non si credesse in precedenza, dovremmo trarne alcune lezioni. In primo luogo, sarebbe saggio attenuare gli effetti dell'austerità spalmando il consolidamento su un periodo più lungo. Anche l'Fmi ha raccomandato più gradualismo. Secondo, la necessaria austerità nei Paesi della periferia dovrebbe essere accompagnata da un'espansione nei Paesi del centro, in particolare la Germania. Giova ricordare che la zona euro ha debito e deficit inferiori rispetto alle altre grandi economie. Almeno in questa fase, l'aumento delle imposte dovrebbe essere preferito alla riduzione della spesa, oggi necessaria per sostenere l'attività economica. La razionalizzazione della spesa pubblica, e la sua riduzione, dovrebbero aspettare tempi migliori.

Ai partigiani dell'austerità resta un argomento: i mercati punirebbero con un aumento degli spread qualunque governo che si mostrasse restio al consolidamento fiscale. Ma anche questo argomento non è poi così solido, essendo i mercati sensibili alla crescita, quanto lo sono alla salute dei conti pubblici. Inoltre, il potere dei mercati sui governi deriva da un'altra anomalia tutta europea. Siamo l'unica economia la cui banca centrale non può direttamente agire da prestatore di ultima istanza, assicurando il debito pubblico dal rischio di default. Non è con un'austerità dannosa e controproducente che si mettererà fine a questa anomalia.

Shopping24

Dai nostri archivi