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Questo articolo è stato pubblicato il 09 maggio 2013 alle ore 07:05.

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La sentenza d'appello sui diritti Mediaset era attesa e non ha riservato sorprese. La sorpresa, chiamiamola così, è invece che Berlusconi non rovescerà il tavolo del governo, come qualcuno temeva o sperava. Ma è una sorpresa solo apparente e il motivo è chiaro. Tutto si può dire del leader del centrodestra tranne che non sia un uomo previdente. Questa sentenza era stata da lui messa nel conto. Di conseguenza, se nelle dichiarazioni pubbliche Berlusconi ostentava sicurezza circa l'assoluzione in arrivo, in privato seguiva ben altra linea.

Si premuniva, in altri termini, in vista del ricorso in Cassazione, allargando il collegio difensivo al professor Franco Coppi, uno dei penalisti più illustri e influenti. Perché, come è noto, è lì, di fronte alla Corte suprema che se ne occuperà in autunno e che proprio ieri ha eletto il suo "primo presidente", che si giocherà la vera e decisiva partita. Fino ad allora Berlusconi, come qualsiasi altro imputato, non è colpevole: piaccia o no ai suoi avversari. Le condanne riguardano gravi reati, certo, e costituiscono un fardello morale difficile da portare per un uomo pubblico, ma ai fini pratici Berlusconi è a tutt'oggi innocente.
La strategia giudiziaria peraltro è solo un tassello. L'altro elemento, il più rilevante, resta quello politico. Ed è qui che si esercita il "nuovo" Berlusconi. Oggi il personaggio si è trasformato, strano a dirsi, in un fattore di tenuta e di stabilità del sistema. Non è cambiato lui, bensì il quadro generale del paese e del governo. E a Berlusconi conviene parecchio indossare questa veste quasi inedita. In fondo, se è nato il governo Letta lo si deve per buona parte a lui. Addirittura assistiamo a una realtà singolare: il Pdl berlusconiano, oggi del tutto ricompattato, sta puntellando l'equilibrio delle larghe intese che altrimenti rischierebbero di franare a ogni piè sospinto per via della debolezza e della fragilità di un Pd acefalo.

È una curiosa contraddizione: sulla carta a Berlusconi converrebbe tornare al voto, visto che i sondaggi lo collocano in vetta; e viceversa al Pd dovrebbe piacere la stabilità di un governo alla cui testa c'è il suo vicesegretario nazionale. Tuttavia il malessere del partito è profondo e si vede senza ombra di dubbio che il centrosinistra soffre l'alleanza. Come è accaduto nella tormentata elezione di Nitto Palma, candidato della destra, a presidente della commissione Giustizia del Senato (alla fine è passato con il Pd che votava scheda bianca). A vari livelli si avverte una gran voglia di buttare tutto all'aria e di correre a confondersi con i Cinque Stelle. Come se fra i gruppi largamente rinnovati del Pd e la massa dei "grillini" appena approdati in Parlamento si stesse creando una spontanea convergenza.
Difficile dire quello che accadrà nei prossimi mesi. Dovremo prima capire chi sarà il nuovo leader del Pd e quale ascendente avrà sui parlamentari, oltre che sulla base dei militanti. Ma in questo quadro complesso, la sentenza che condanna Berlusconi gioca in due sensi. Per quanto riguarda il leader del Pdl, lo rafforza nella volontà di sostenere l'esecutivo perché dentro l'attuale cornice egli si sente più sicuro e garantito. Per quanto invece attiene al Pd, la sentenza accentua il nervosismo e la difficoltà di stare ai patti. Ecco perché Napolitano proprio ieri ha richiamato tutti all'urgenza di avviare le riforme. Solo producendo in tempi rapidi qualche frutto in campo economico e istituzionale la maggioranza delle larghe intese ha una prospettiva di sopravvivenza a medio termine. È una responsabilità precisa per Enrico Letta, di cui comunque egli sembra consapevole. Il rischio è che la tensione sottintesa nella coalizione renda complicate anche le cose facili. Il centrosinistra dovrebbe riuscire a offrire il suo contributo dinamico al premier. E Berlusconi non dovrebbe limitarsi a garantire una mera stabilità. Le riforme servono a tutti e il tempo delle attese è esaurito.

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