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Questo articolo è stato pubblicato il 14 maggio 2013 alle ore 08:43.

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Il suo gruppo vende, a livello mondiale, informazioni finanziarie di ogni tipo su qualsiasi soggetto. Società quotate con i loro bilanci, quotazioni di ogni sorta di bond emessi in giro per il mondo da Governi e compagnie. Prezzi di commodities, andamenti di valute e così via. I terminali di Bloomberg snocciolano dati a raffica.

Eppure su di sé, su quanto guadagna o perde, sulla consistenza patrimoniale del suo gruppo, Michael Bloomberg (nella foto), il fondatore del colosso della business information, ha scelto la strada del silenzio tombale. Un emblema del mistero. Un bel paradosso per chi dell'informazione, la più accessibile possibile, ha fatto un business. Nulla è scritto, nulla è documentato. Zero bilanci accessibili al pubblico. Niente di niente. Una cosa però si sa. La sua Bloomberg LP, la capofila del gruppo, è domiciliata legalmente nel Delaware, uno degli Stati Usa in cui il segreto fiscale è più custodito.
Fabio Pavesi
Nulla di illegale per carità, ma se vuoi occultare al meglio i tuoi conti ecco che il Delaware è la soluzione ideale. Niente obblighi di contabilità, e forse, la possibilità di pagare meno imposte possibili. Le scarne cronache narrano di un colosso da 15mila dipendenti attivo non solo nella raccolta dati, ma nelle tv e nella carta stampata con il settimanale Business Week solo per citare quello più rappresentativo. Bloomberg opera in 192 Paesi con 315mila terminali presso banche e organi di informazione e un fatturato stimato di 7,9 miliardi di dollari (6 miliardi di euro). Stimato appunto. Non si sa da chi. O meglio secondo il Financial Times il 2012 si sarebbe chiuso con un fatturato complessivo cresciuto del 4,4% a quota 7,9 miliardi di dollari da 7,6 miliardi del 2011. Tutto bene? Dipende. Di certo è che la società che aveva un obiettivo di 10 miliardi di dollari di ricavi da conseguire tra il luglio di quest'anno e il giugno del 2014 ha ammesso che quel risultato non è più realistico.

La crisi ha toccato pesantemente anche Bloomberg. Basti un dato. Nel 2012 sono stati installati e venduti solo 1.250 terminali, nel 2011 le nuove vendite furono oltre 13mila. Un taglio del 90% nella crescita annua del business più redditizio della società che tuttora conterebbe su 315mila terminali. Ma qui i conti sembrano non tornare. Un terminale base con i servizi essenziali (venduto in genere ai giornali) produce ricavi per 16mila dollari l'anno. Il prezzo raddoppia per un terminale di un trader di una banca, il vero core business del gruppo. Ebbene se questi sono i ricavi unitari Bloomberg dovrebbe fatturare solo per quest'area di attività oltre i 9 miliardi di dollari, ben più dei 7,9 miliardi dichiarati al Financial Times e che in realtà rappresentano tutti i ricavi del gruppo. Qualcosa non torna, vista così. O il totale dei terminali venduti è in realtà più basso di un 20% o Bloomberg pur di conservare quote di mercato ha avviato una drastica politica di sconto sui prezzi. Un segno della crisi che incombe anche sul colosso Usa. Difficile però da dimostrare data l'opacità assoluta dietro cui si nasconde da sempre mister Michael Bloomberg.

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