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Questo articolo è stato pubblicato il 17 maggio 2013 alle ore 08:02.
Nel primo trimestre 2013 le esportazioni italiane sono diminuite in valore dello 0,7% rispetto al primo trimestre 2012, pur conservando ancora una buona crescita sui mercati extra-Ue (+5%). La Germania, però, ha fatto peggio. Il suo export, infatti, è calato dell'1,2%, trascinato verso il basso dalla crisi europea. Il solo import italiano di autoveicoli tedeschi è precipitato del 28%, dopo essere già fortemente diminuito nel 2012.
Intanto, sempre nel primo trimestre 2013, mentre il Pil americano è cresciuto e quello giapponese è addirittura schizzato all'insù sulla spinta dell'Abenomics, le condizioni dell'economia dell'Eurozona si sono aggravate (con l'entrata ufficiale in recessione anche della Francia) mentre in termini congiunturali il Pil della Germania è rallentato notevolmente ma, sia pure per un soffio, non è diminuito. L'Ufficio federale di statistica spiega questo rallentamento soprattutto con il maltempo mentre attribuisce principalmente al minor numero di giorni lavorativi il calo tendenziale dell'1,4% rispetto al primo trimestre 2012. Insomma, in Germania non si scompongono e nonostante gli scricchiolii delle loro vendite di auto si sentono ancora al riparo dalla bufera che sta investendo i partner europei.
Nel frattempo, l'insofferenza popolare tedesca verso il Sud Europa (e la stessa Francia) e i movimenti politici emergenti che in Germania si oppongono all'euro stanno crescendo in parallelo. Entrambi traggono forza da due diffuse convinzioni in realtà solo parzialmente vere. E cioè che la Germania ha dato molto all'Europa ricevendo poco in cambio e che ormai Berlino potrebbe addirittura fare a meno dell'Europa stessa visto che il suo export è in espansione soprattutto verso i Paesi extra-Ue. In definitiva, è una Germania che si sente oggi quasi invulnerabile quella che guarda dall'alto verso il basso i Paesi mediterranei (sinonimi per essa di lassismo nei conti pubblici e scarsa competitività) e che critica sempre più apertamente Parigi (per la sua debole politica di riforme e il mancato aggiustamento del deficit nei tempi stabiliti).
Ma la verità è un po' diversa da come la semplificano nelle birrerie di Monaco e sulla stampa tedesca. Infatti, la Germania con l'euro ha fatto un enorme affare. Grazie alla moneta unica e al cambio fisso coi partner europei, Berlino ha potuto prendere al volo l'autobus del mercato Ue sfruttandolo a piene mani fino al 2007, durante il periodo delle vacche grasse, per incamerare profitti aziendali e riserve valutarie, mentre il suo surplus commerciale con i Paesi extra-Ue invece non cresceva, era anzi abbastanza piatto. Poi, con lo scoppio della crisi, usando il classico sistema hop on-hop off, Berlino ha cambiato radicalmente autobus prendendo quello con i Paesi extra Ue. Ciò adesso fa sentire i tedeschi forti, sicuri, autosufficienti e, pertanto, sempre meno inclini a guardare con simpatia all'Europa. Ma in ciò la Germania commette due errori: il primo di ingenerosità perché se essa si è rafforzata lo deve proprio all'euro (più che alle sue pur importanti riforme); il secondo di prospettiva strategica perché se i mercati extra-Ue volano ma quelli europei crollano (sotto il peso di un rigore fiscale eccessivo e troppo compresso nel tempo), il commercio estero in realtà finisce col non dare più nessun apporto sostanziale alla crescita del Pil tedesco.
I dati parlano chiaro. Tra il 2002 e il 2007 il surplus della Germania verso i Paesi extra-Ue è cresciuto di soli 7 miliardi di euro, mentre è stato quello verso i Paesi Ue ad aver letteralmente trascinato Berlino verso la prosperità, essendo salito di ben 54 miliardi. Nel 2007 il surplus commerciale tedesco verso la Ue era di 126,6 miliardi di euro, quasi il doppio di quello extra-Ue, pari a 67,8 miliardi. Poi tutto è cambiato. Vi è stato un autentico crollo del surplus verso i Paesi Ue, schiacciati dalla morsa della crisi, sicché l'attivo tedesco con l'Europa è sceso nel 2012 a soli 47 miliardi (cioè appena più di un terzo di quello record del 2007). Mentre in parallelo è esploso il surplus tedesco verso i Paesi extra-Ue, balzato a 138 miliardi (un livello più che doppio di quello del 2007). Oggi, dunque, anche per effetto dell'austerità in Europa la bilancia extra-Ue della Germania vale quasi tre volte quella Ue. Ma Berlino sbaglierebbe davvero molto se d'ora in poi pensasse di poter puntare tutte le sue carte solo sul resto del mondo. Perché con una domanda interna tendenzialmente debole e senza la vecchia Europa che torni a comprare il "made in Germany", il suo attivo rischia comunque di non correre più come quello di un tempo. Sicché nel 2012 la somma del saldo complessivo Ue ed extra-Ue della Germania ha fatto segnare soltanto quota 185 miliardi: un livello ancora lontano, dopo cinque lunghi anni, dal record storico di 194 miliardi toccato nel 2007. Un record che forse resterà ancora lontano per un altro po', visto che nel primo trimestre 2013 l'export tedesco è calato non solo verso la Ue (-2,5%) ma anche verso il nuovo "Eldorado" dei mercati extra-Ue che anch'esso comincia a perdere colpi (-0,2%).
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