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Questo articolo è stato pubblicato il 18 maggio 2013 alle ore 09:40.

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Sulla carta intestata ci sono nuvole bianche e sorridenti. La società si chiama Aria, ha sede a Catania, e a partire dal logo vorrebbe lanciare un messaggio di pulizia e di rispetto per l'ambiente. Eppure questa azienda, che si occupava tra le altre cose di smaltimento di rifiuti speciali, è sospettata di essere la principale responsabile dell'avvelenamento di una intera area nel cuore della Sicilia, in provincia di Caltanissetta, tra i comuni di Serradifalco, San Cataldo e Mussomeli.

Parliamo della miniera di Bosco Palo, nel territorio del comune di San Cataldo ma a tre chilometri in linea d'aria dal centro di Serradifalco, un tempo giacimento di sali potassici (kainite) utilizzati anche in agricoltura, chiusa dal 1988. Un impianto che negli anni Sessanta, con un milione di tonnellate l'anno di produzione dai tre pozzi, dava lavoro a 600 persone: appartenuta alla Montecatini fino al 1978 la miniera è poi passata all'Ispea, società con capitali pubblici, fino alla chiusura avvenuta nel 1988.
E da allora è diventata una bomba ecologica e una minaccia per la salute dei cittadini. Per due motivi. Il primo è legato alla pessima gestione del ciclo post industriale: dopo la chiusura, ai margini della miniera è rimasto un deposito di scarti, in totale quattro milioni di metri cubi, di sali di potassio che a contatto con la luce solare e con i fulmini provocano, secondo gli esperti che al tema hanno dedicato parecchi studi, la dispersione nell'aria di molecole di potassio 40 ritenuto molto radioattivo e «prodotti di decadimento delle catene uranio-torio»: i raggi solari, paradossalmente, stimolano la produzione di radiazioni (isotopo K40). Non ci vuole molto a immaginare cosa può accadere nel cuore della Sicilia. Quell'ammasso di scarti, secondo un progetto già pronto, potrebbe essere ancora utilizzato e consentire così la bonifica: un cantiere che potrebbe dare lavoro a 200 persone l'anno per dieci anni almeno. Scarti pericolosi di fronte ai quali l'Arpa regionale ha dovuto capitolare: per mancanza di attrezzature adeguate, è stato detto.

Il secondo motivo è invece quello dell'avvelenamento provato dallo stoccaggio in miniera di migliaia di tonnellate di rifiuti speciali provenienti da strutture italiane, anche pubbliche come gli ospedali siciliani.
Il documento con il logo rassicurante fa parte di un blocco di carte, tra cui un libro mastro, rinvenuto casualmente da un paio di cronisti (Rosario Cardella e Saul Caia) che al tema dell'inquinamento delle miniere in Sicilia hanno dedicato un documentario vincitore del premio giornalistico dedicato al compianto Roberto Morrione e dal geometra Salvatore Alaimo all'interno di una casetta che si trova a poche centinaia di metri dalla miniera di Bosco in località Palo: quella stessa casetta utilizzata come base logistica per i camion che arrivavano fin qui a scaricare rifiuti tossici «venduta da un minatore insieme al terreno per 50 milioni di lire al tempo in cui un appartamento a Serradifalco ne costava 30». Alaimo è l'autore di un esposto inviato anche alla magistratura: «Intorno al 1990 - racconta - un diligente e coraggioso vigile urbano di Serradifalco, l'allora brigadiere Gaetano Butera, sventò e interruppe un traffico illecito per lo stoccaggio e forse anche per lo smaltimento di rifiuti pericolosi, speciali e radioattivi, provenienti anche al di fuori della Sicilia e che si svolgeva proprio nella immediata vicinanza della miniera di Bosco e a ridosso delle vecchie miniere di zolfo di Stincone e Apaforte, queste ultime da sempre incustodite». Alaimo, che per le denunce fatte ha subito numerose intimidazioni (ha ricevuto anche una busta con proiettili) non si dà pace: «In quella occasione - dice - molti ci chiedemmo dov'erano finiti i rifiuti scaricati in precedenza nella considerazione che l'illecita attività era stata messa in pratica già da qualche tempo. Concludemmo che qualcuno aveva garantito la copertura del traffico o quantomeno aveva autorizzato la ditta al trasporto e alla circolazione del materiale in quella zona che è sempre stata considerata come la roccaforte, quasi indisturbata, delle famiglie mafiose del Vallone».

La notizia andò sui giornali, se ne parlò per qualche giorno ma poi tutto finì nel dimenticatoio e Butera non si occupò più del caso. Ma vi è il fondato sospetto che il traffico sia andato avanti e che vi sia stato un intervento per mettere tutto a tacere. I riflettori sulla vicenda sono stati riaccesi recentemente grazie all'impegno del Tavolo di regia per lo sviluppo e la legalità della provincia di Caltanissetta presieduto da Salvatore Pasqualetto cui si era rivolto, tra gli altri, lo stesso Alaimo. La questione è stata rilanciata ancora con il convegno organizzato un paio di settimane fa dalla Camera di commercio nissena guidata da Antonello Montante, leader degli industriali siciliani delegato nazionale di Confindustria alla legalità, il quale con tono commosso ha lanciato un appello: «Chi sa parli, collabori perché abbiamo bisogno di arrivare alla verità». E in effetti questo è il momento opportuno considerato che la sezione di Caltanissetta della Direzione investigativa antimafia guidata dal colonnello Gaetano Scillia ha ripreso a indagare su quel traffico di farmaci e di materiale radioattivo proveniente soprattutto dalle strutture ospedaliere.

L'autista del mezzo intercettato a suo tempo dal vigile urbano di Serradifalco era polacco ma c'è oggi il fondato sospetto che l'intera filiera fosse gestita dai mafiosi nisseni: dal trasporto all'interramento, alla gestione amministrativa e delle possibili relazioni istituzionali. Seduta in prima fila al convegno che si è tenuto nella sala parrocchiale di Serradifalco c'era Lia Sava, magistrato antimafia da poco insediato al vertice della Procura di Caltanissetta come procuratore aggiunto di Sergio Lari: la procura nissena indaga su traffico di rifiuti, disastro ambientale e omissioni degli enti. Ai magistrati potrà certo interessare anche il perché nessuno in questi anni ha provveduto a eliminare i residui di lavorazione che sono alla base della diffusione di tumori e di malattie neurodegenerative (quest'area del nisseno ha un tasso di mortalità che è al di sopra e parecchio di quello nazionale). Tutto il materiale documetale trovato nel casolare di fronte alla miniera è oggi nelle mani degli investigatori che stanno ricostruendo i vari passaggi, le autorizzazioni. C'è anche un libro mastro, biglietti ferroviari, aerei e altro. Tutto materiale molto interessante che potrà essere determinante per ricostruire la rete dei traffici: se ne occupano gli uomini coordinati in questa indagine dal tenente colonnello della Dia nissena Letterio Romeo. Un recente test del Noe ha verificato l'inquinamento persino delle falde e Giuseppe Regalbuto, presidente della commissione miniere dismesse dell'Unione province siciliane ipotizza che «le leggendarie scorie radioattive di Pasquasia si trovano anche a Bosco Palo». Sul tema non c'è ancora un riscontro giudiziario anche se, è ovvio, gli inquirenti nisseni stanno verificando.

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