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Questo articolo è stato pubblicato il 29 maggio 2013 alle ore 07:49.
L'ultima modifica è del 29 maggio 2013 alle ore 08:28.

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Qualcuno potrebbe leggerla come una rivincita. Ma Luigi Cattel, chioma candida e occhi che ridono dietro gli occhiali dalla grossa montatura, non ha tempo né voglia per le recriminazioni. Questo è il momento dell'emozione e dell'orgoglio. È sul palco del Beurs van Berlage, l'antica borsa del grano di Amsterdam, su di sé lo sguardo curioso e benevolo di Beatrice d'Olanda, appena retrocessa a principessa dopo la recente abdicazione. E, insieme con la giovane collega dell'università di Torino Barbara Stella, ha appena ricevuto il premio per la categoria Ricerca all'European Inventor Award organizzato ogni anno dall'Ufficio europeo dei brevetti. Un riconoscimento prezioso, per il quale erano gli unici italiani finalisti.

Ma sul palco non sono soli. Condividono il premio con il nanotecnologo Patrick Couvreur e la sua équipe dell'università di Parigi Sud. Anzi, a dirla tutta, nei comunicati diffusi dagli organizzatori il primo nome che compare è proprio quello dello scienziato di origine belga, così come nel video introduttivo si vede la torre Eiffel, e non la Mole. Nonostante la scoperta delle nano-capsule anticancro (Cattel le chiama "magic bullet" per la precisione balistica con cui mirano e colpiscono solo le cellule malate) sia avvenuta a Torino.

La vicenda inizia una decina di anni fa. Cattel e il suo gruppo riescono a sintetizzare una molecola rivoluzionaria, un "carrier" capace di trasportare farmaci antitumorali e colpire selettivamente, risparmiando i tessuti sani. «È realizzato in squalene, estratto dall'olio di squalo - spiega Cattel - si tratta di un precursore del colesterolo, una molecola probiotica datata un miliardo di anni fa». Il professore torinese si rende subito conto di avere tra le mani una scoperta importante. «Avevamo a disposizione un carrier con utilizzi a 360 gradi - aggiunge - può trasportare farmaci, ma anche diagnostici e perchè no, cosmetici». A quel punto si rendeva necessario brevettare la scoperta ed è iniziata la sconfortante via crucis a caccia di un compagno di viaggio: «Il brevetto europeo costa caro, almeno centomila euro per completare il percorso e l'università non ha risorse. Abbiamo cominciato a bussare a qualche porta, mi sono rivolto alla Abc, società torinese produttrice di farmaci generici e a altri, ma la risposta era sempre la stessa. Una domanda in realtà: ma ci sono soldi? Quando si può rientrare dall'investimento? Una domanda che in ricerca non può avere risposta, almeno non per i primi dieci anni».

Così, approfittando del dottorato che Barbara Stella stava effettuando a Parigi con il professor Couvreur è iniziata una stretta collaborazione con il gruppo francese e il brevetto è arrivato grazie all'intervento del loro Cnr che ha messo sul tavolo 5 milioni di euro. Pretendendo in cambio - correttamente - la proprietà del brevetto. A Torino arriveranno le royalties ma se, come pare probabile, andrà in porto una vendita a Sanofi, interessata ad avviare la sperimentazione sui pazienti, il ricavato entrerà nelle casse parigine. Cattel è rammaricato, ma vede il lato positivo: «Continuiamo a collaborare con loro anche su altri progetti e grazie all'università di Parigi Sud possiamo avere dei dottorandi, noi non abbiamo nemmeno i soldi per comperare i reagenti!».

Il rapporto con aziende e istituzioni non è sempre facile. «Tutti dicono che bisogna investire in ricerca, adesso abbiamo un ministro certamente sensibile all'argomento, ma alla fine i soldi non si trovano mai». E anche quando ci sono, poi manca il coraggio di reinvestire. Cattel ricorda un episodio che risale agli anni Novanta. «Con Menarini e Istituto dei tumori di Milano avevamo vinto un premio nazionale per lo sviluppo degli anticorpi monoclonali: con i 10 miliardi di lire ricevuti Menarini aprì un impianto pilota, chiamando i migliori ricercatori dall'estero. Ma non è andata avanti, mentre la Roche, con un anticorpo quasi uguale, ha sviluppato un farmaco miracoloso per il tumore della mammella. Un farmaco importante e un mercato da 100 miliardi di dollari».

La ricerca costa e non dà certezze: nel caso in cui Sanofi sviluppasse il farmaco derivante dalla scoperta torinese dovrà comunque investire almeno un miliardo di dollari. Ma se il professore torinese si abbandona per un attimo allo sconforto («ormai in Italia abbiamo perso il treno delle biotecnologie e dei farmaci biologici») l'imprenditore non può permetterselo. Come ricorda Mario Moretti Polegato, l'inventore della suola che respira, lo scorso anno tra i finalisti del premio alla carriera e quest'anno tra i membri della giuria: «Bisogna creare le condizioni per sostenere chi ha le idee e il coraggio di mettersi in gioco».

I vincitori dell'European Inventor Award

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