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Questo articolo è stato pubblicato il 04 giugno 2013 alle ore 07:01.
L'ultima modifica è del 04 giugno 2013 alle ore 08:00.

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Un Governatore "timido"? Una Banca d'Italia ormai mero Servizio studi che si riduce all'analisi della difficile congiuntura, senza affiancare una proposta di soluzione efficace? Non direi. Piuttosto una Banca d'Italia che, da una parte, rivendica la sua appartenenza al Eurosistema, dall'altra prende atto dei limiti della politica macroeconomica. L'apertura delle Considerazioni finali, dopo il resoconto delle attività nazionali della Banca, in primo luogo quelle di vigilanza, non a caso è dedicata alla politica monetaria nell'Eurozona.

Ignazio Visco non ha solo illustrato gli interventi della Bce negli ultimi due anni in risposta alla crisi, ma ne ha rivendicato il successo. Dopo le perplessità e le resistenze dell'epoca Fazio, la Banca d'Italia ha "interiorizzato" l'appartenenza all'Eurosistema, fino a vedere un suo uomo salire alla presidenza della Bce. I risultati attribuiti a Draghi nello stabilizzare i mercati finanziari ("negli ultimi mesi i timori sulla tenuta della moneta unica si sono ulteriormente attenuati", a pagina 7 delle Considerazioni) sono frutto di un'azione collettiva, di cui Bankitalia si sente a tutti gli effetti protagonista.

Ma la politica monetaria non può tutto, e non solo perché lo statuto della Bce pone la stabilità dei prezzi come suo obiettivo, ma non quella del reddito o dell'occupazione. Qui il linguaggio delle Considerazioni è chiaro nell'indicare come divergenze ed eterogeneità permangano forti nella zona euro, limitando l'azione della Bce e gli effetti sull'economia reale. L'euro è stato creato in tempi meno difficili, e ha condotto a un decennio di bassi spread nella periferia. Occorre adattare istituzioni e politiche europee per consentire all'euro di sopravvivere nella crisi, e la direzione indicata da Visco è quella dell'integrazione bancaria, fiscale, politica.

Sull'Italia i toni del Governatore sono quasi drammatici: «La recessione sta segnando profondamente il potenziale produttivo, rischia di ripercuotersi sulla coesione sociale». La timidezza sta forse, allora, nel non indicare una soluzione shock per uscire da questa situazione? Qui l'analisi di Bankitalia è tanto semplice quanto impietosa. «Non siamo stati capaci di rispondere agli straordinari cambiamenti geopolitici, tecnologici e demografici degli ultimi 25 anni». Chi? Tutti, non solo la politica, ma imprese, sindacati, banche, pubblica amministrazione, università, scuola. In tempi diversi abbiamo creato meccanismi per aggirare o rimandare la resa dei conti con quei cambiamenti, l'inflazione prima, il debito pubblico poi, la svalutazione della moneta. Ma i tempi non ci consentono più di fare free riding, e il velleitarismo di certe ricette shock è talvolta sintomo di provincialismo. Il mondo è cambiato, e non ci sarebbe concesso oggi di svalutare del 30% e inondare il mercato francese con le nostre merci.

Più spesa pubblica per sostenere consumi e investimenti può rappresentare la soluzione di un solo Paese nella zona euro? Sì, ma seguendo le direttive concordate con la Ue. E meglio, comunque, avviare una riduzione significativa di imposte per favorire le attività produttive. Non sembra solo l'europeismo di Bankitalia a suggerire queste posizioni, ma un giudizio severo sugli sprechi di risorse pubbliche e sull'inerzia delle riforme. Se l'austerità su scala europea è un errore, si tratta di modificare attitudini e politiche in sede comunitaria, ma senza dimenticare che in Italia le riforme non si sono mai fatte in tempi di prosperità, salvo poi rammaricarsi che vadano intraprese in tempi di crisi.

Quelle indicate da Bankitalia sono soluzioni insufficienti? Visco sembra sottoscrivere la posizione secondo cui la politica macroeconomica, anche fuori dai vincoli europei, non può da sola modificare il declino che il nostro Paese ha intrapreso da almeno vent'anni. Nei dodici anni prima della crisi la produttività totale dei fattori è diminuita dello 0,14% in media annua, mentre aumentava anche di 2 o 3 punti percentuali all'anno in molti Paesi Ue, eccezion fatta per la Spagna. Aumentare di nuovo liberamente spesa pubblica e deficit, oppure riguadagnare la piena sovranità monetaria uscendo dall'euro, invertirebbero questa tendenza? Personalmente credo di no, anche se la durezza della crisi potrebbe minare ancor di più il già basso consenso per la costruzione europea. Ma, in ogni caso, non possiamo chiedere a Bankitalia di suggerire tali soluzioni.

smanzocchi@luiss.it
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