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Questo articolo è stato pubblicato il 08 giugno 2013 alle ore 09:40.
L'ultima modifica è del 08 giugno 2013 alle ore 11:56.

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«Nessuno sta ascoltando le vostre telefonate». Il presidente Barack Obama ha usato queste parole, categoriche, per tranquillizzare gli americani impensieriti del rischio Big Brother. Le telefonate forse no, ma le comunicazioni di posta elettronica c'è motivo di pensare di sì. Non sono mai arrivate conferme ufficiali che ciò stia avvenendo, ma una testimonianza diretta e molti documenti tecnici portano a concludere che sia proprio così.

Che dopo l'11 settembre in America i grandi gruppi di telecomunicazione americani siano stati invitati, spinti o forzati a collaborare con le agenzie di intelligence era già noto. Prism sembrerebbe ruotare attorno ai dati telefonici, ma al giorno d'oggi una larga fetta delle comunicazioni private, commerciali e governative non viaggiano attraverso la linea telefonica, bensì online. E in materia di traffico elettronico, le evidenze di un programma di sistematica raccolta di intelligence da parte della National Security Agency, o Nsa, precedono di anni la scoperta di Prism.

È solo che compagnie di telecom e Governo sono finora sempre riuscite a sopraffare qualsiasi tentativo di informarne gli americani. Solo pochi mesi fa la Corte Suprema ha rifiutato di prendere in considerazione l'estremo ricorso che un'organizzazione per i diritti civili, l'Aclu, e una per i diritti "digitali", l'Electronic frontier foundation, avevano presentato contro la decisione della Corte di Appello di San Francisco di concedere l'immunità alla società telefonica At&t, accusata di aver tradito la privacy dei suoi clienti.

Tutto era nato da una denuncia di un ingegnere della At&t, Mark Klein, dopo che aveva letto lo scoop con il quale il New York Times rivelava che l'amministrazione Bush aveva deciso di monitorare le comunicazioni degli americani senza mandato dei tribunali. Klein ne aveva contezza diretta. O perlomeno così diceva, e così hanno concluso esperti indipendenti che hanno analizzato i documenti interni dell'At&t da lui prodotti a supporto della sua testimonianza. «Sono un tecnico delle comunicazioni. A partire dal 1981, per 22 anni, ho lavorato per At&t. Prima a New York e poi in California» si legge nella deposizione di Klein. «Nel 2002, quando lavoravo presso la centrale telefonica di Geary Street a San Francisco, mi è stato comunicato di aspettare una visita di un agente della Nsa. Nel gennaio del 2003 ho poi scoperto che si stava allestendo una nuova stanza, adiacente a quella dei commutatori delle linee, dove confluiscono le fibre ottiche che veicolano il traffico elettronico di lunga distanza. Era la stanza 614A, circa 100 mq, che nei nostri documenti interni era chiamata Stanza di sicurezza SG3».

A cosa servisse quella stanza, secondo Klein era spiegato da alcuni documenti interni di cui aveva tenuto copia, dai quali risultava che i tecnici della At&t e della Nsa avevano installato hardware e software che permettevano il cosiddetto "data mirroring", e cioè la duplicazione dei dati trasportati dalla fibra ottica. Ma la stanza 614A non sarebbe stata una peculiarità di Geary Street. Klein aveva testimoniato che ambienti simili erano stati allestiti lungo tutta la costa pacifica, a Seattle, San Jose, Los Angeles, San Diego. Non solo in centrali della At&t, ma anche di Sprint e Verizon. L'intera rete sarebbe stata sotto controllo.

In una sua deposizione presentata nel procedimento giudiziario intentato contro l'At&t, l'ingegnere elettronico J. Scotto Marcus ha poi dichiarato che le attrezzature della stanza 614A davano alla Nsa «la capacità di monitorare e analizzare traffico internet in scala massiccia. Sia internazionale che domestico». La At&t non ha mai smentito l'autenticità dei documenti di Klein.

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