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Questo articolo è stato pubblicato il 11 giugno 2013 alle ore 07:15.

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È diffusa l'opinione che l'Italia per crescere debba intensificare le politiche a sostegno dello sviluppo nei settori ad alta tecnologia, come l'industria della salute (farmaceutica e tecnologie medicali), a cui Intesa Sanpaolo e Imt, nell'ambito degli incontri di interesse nazionale organizzati da Aspen Institute Italia, hanno da poco dedicato uno studio. L'industria della salute è uno dei pochi settori ad alta tecnologia in cui è specializzata l'industria italiana. Il suo fatturato è di 43 miliardi di euro (il 4,2% del manifatturiero italiano), le esportazioni toccano i 23 miliardi, più del 6% del totale. Sul piano dell'innovazione il peso di questi settori è alto in termini di R&S (14,2%) e di attività brevettuale (21,5%).

I settori industriali legati alle scienze della vita sono industrie globali. Anche in Italia è alta la presenza di multinazionali estere: nell'industria dei dispositivi medici realizzano il 59% del fatturato, nella farmaceutica la percentuale sale al 71%. Sono molti gli investimenti diretti in uscita: nelle imprese estere controllate da aziende farmaceutiche italiane lavorano più di 17mila addetti, pari al 27% degli occupati nelle imprese residenti in Italia.
I settori della salute hanno un alto potenziale nel medio-lungo termine. La crescita del reddito e lo sviluppo di sistemi pubblici favorisce un rapido aumento della domanda di servizi per la salute nei Paesi di recente industrializzazione. Già nel 2011 la Cina era il 3° mercato mondiale; nel 2016 è attesa al 2° posto, alle spalle degli Usa. Nel 2016 tra i primi dieci mercati ci saranno Brasile (4°), India (8°) e Russia (9°).

Il settore può tenere alta la competitività del Paese e non mancano in Italia eccellenze su cui far leva: grandi imprese multinazionali (a capitale italiano ed estero), un tessuto di Pmi dinamiche e flessibili, un numero crescente di start up. Una conferma dei buoni livelli di competitività dell'industria italiana della salute viene dai dati di commercio estero: tra il 2008 e il 2012 l'export è salito del +36,5%, molto più del 6,5% della media del manifatturiero. Questa tendenza è proseguita nel I trimestre 2013 con un progresso del 16,5% (-0,8% per il manifatturiero). Le scienze della vita sono uno dei pochi settori italiani che ha recuperato i livelli di fatturato precedenti la crisi del 2009. Spiccano le performance delle imprese con brevetti depositati allo European Patent Office (Epo) che registrano una migliore evoluzione del fatturato e della redditività (Ebitda margin al 10,2% vs. l'8,7% delle imprese senza brevetto).

Nonostante le eccellenze, il settore presenta criticità. Nel 2012 abbiamo registrato un deficit di commercio estero pari a 3,3 miliardi di euro. Abbiamo un posizionamento sui mercati non di primo piano: nella farmaceutica siamo gli ottavi esportatori mondiali (con una quota pari a circa il 4,1%), nelle tecnologie medicali ci collochiamo in 12esima posizione (2,4%). Il ritardo italiano è pronunciato in termini di capacità di ricerca. Nelle scienze della vita l'Italia si colloca al 12° posto per numero di pubblicazioni pro capite, in linea con Germania e Francia, ma distante da Regno Unito e Usa. Il nostro paese scende al 21° posto per numero di brevetti pro capite registrati all'Epo nelle scienze della vita applicate alla salute. Tra le prime 10 regioni mondiali per brevetti Epo nessuna è italiana. La Lombardia si colloca al 18° posto. Tra le prime 10 ben 7 sono Usa. Le 3 europee sono Ile-de-France (Fr), Darmstadt (De) e Hovedstaden (Dk). Dall'analisi delle collaborazioni tra Paesi, emerge un grado di chiusura elevato dei sistemi nazionali di ricerca europei. Per questo motivo, l'Italia è chiamata a identificare e a far valere le proprie priorità nello spazio europeo della ricerca.

Le regioni più innovative presentano un surplus positivo in entrata in termini di mobilità di inventori. I poli italiani sono periferici: Milano esce dal core negli anni 90 a causa di un indebolimento del tessuto locale, con un ulteriore peggioramento dalla metà degli anni Duemila. Nello spazio della ricerca, Roma e Milano sono vicine tra loro e specializzate in medicina, ma sono distanti dalle regioni leader Usa, più orientate su biotecnologie, nanoscienze e post genomica.
Dal superamento di queste criticità dipende la competitività italiana, che non può prescindere da un sostegno e un ruolo più attivo e organizzato del sistema pubblico. Più investimenti pubblici potrebbero costituire un ottimo volàno di politica economica, dando forte spinta al settore e all'occupazione di personale qualificato. È necessario un quadro normativo che, capace di controllare la spesa sanitaria, sia più stabile e favorevole agli investimenti in ricerca, alla promozione di centri di eccellenza nella ricerca e nella sperimentazione pre-clinica e clinica di nuovi farmaci.

Gregorio De Felice è Chief economist di Intesa Sanpaolo e Fabio Pammolli è direttore di Imt
L'articolo è uno stralcio della ricerca sulle scienze della vita condotta per Aspen Institute Italia da Servizio studi e ricerche di Intesa Sanpaolo e Imt

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