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Questo articolo è stato pubblicato il 14 giugno 2013 alle ore 07:15.

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PARIGI - Commissione e presidenza irlandese stanno cercando di trovare un compromesso in extremis che consenta di ottenere il via libera francese. Ed evitare che la questione finisca sul tavolo del Consiglio europeo di fine giugno. Ma se dal testo del mandato negoziale non verrà esclusa l'industria culturale, a partire dai prodotti audiovisivi, è molto difficile, apparentemente impossibile, che Parigi ritiri l'annunciato veto all'avvio delle trattative sull'accordo di libero scambio tra Unione europea e Stati Uniti.

Una posizione che la Francia ha chiaramente ribadito alla vigilia del vertice tra i 27 ministri del Commercio estero, oggi a Lussemburgo. Ma anche del G-8, lunedì e martedì in Irlanda del Nord, e della visita di Barack Obama mercoledì a Berlino, con l'atteso discorso alla Porta di Brandeburgo, a 50 anni da quello di John F. Kennedy.
Mercoledì sera, in Parlamento, il premier Jean-Marc Ayrault ha solennemente dichiarato che Parigi «andrà fino all'utilizzo del suo diritto di veto politico». Politico, perché se da un punto di vista procedurale non è sicuro che uno dei Paesi membri possa bloccare l'inizio di un negoziato commerciale internazionale (materia sulla quale la Commissione ha ampia autonomia), è evidente che Bruxelles non può cominciare una partita di questo livello con la netta opposizione di un Paese come la Francia. Che in questa battaglia, a dire il vero, non può contare su molti alleati. Solo Belgio, Ungheria e Grecia hanno esplicitamente detto di essere disposti ad andare fino in fondo. Italia, Polonia e Romania, pur condividendo la linea francese, non sembrano intenzionati ad arrivare allo scontro frontale.

Ma Parigi ha deciso che non indietreggerà. E ieri il ministro del Commercio estero Nicole Bricq ha rincarato la dose: «La presidenza irlandese e la Commissione, penso soprattutto al presidente Barroso, hanno privilegiato interessi specifici, anche personali, a quelli generali». «Che per noi il capitolo culturale non sarebbe stato negoziabile - ha aggiunto - lo abbiamo sempre detto in maniera molto chiara. Il presidente Hollande lo ha ribadito più volte e la Commissione lo ha sempre saputo. Non è certo una novità, non è certo una sorpresa. Ma la Commissione ha scelto un'altra strada, decidendo di mettere sul tavolo del negoziato tutti i temi. Così facendo si è messa in una situazione difficile, dalla quale dovrà trovare il modo di uscire. Ma anche in una posizione di debolezza rispetto agli americani. I quali di esclusioni ne faranno eccome, a partire dai servizi finanziari». «Capisco - ha detto ancora la Bricq - che questa impasse crei qualche imbarazzo agli inglesi, in vista del G-8, e alla cancelliera Merkel, che non vuole certo guastare il successo della visita di Obama, a maggior ragione a pochi mesi dalle elezioni. Ma la nostra scelta è chiara, nota e non cambierà».

La Bricq nega che questo conflitto riproponga lo scontro di sempre tra protezionisti e liberoscambisti e insiste nel dire che la Francia e l'Europa «hanno tutto l'interesse a farlo, questo accordo» - pur con qualche perplessità sul reale impatto che può avere sulla crescita - ma sottolinea che «se non si parte con il piede giusto è difficile raggiungere l'obiettivo»: «Barroso, che vuole arrivare alle elezioni europee dell'anno prossimo con questo negoziato ben avviato, dice che si può chiudere in due anni. Ma la trattativa con il Canada è in corso da cinque anni ed è arenata».
È ovvio che la posizione francese è alimentata anche da considerazioni di politica interna, nel momento in cui l'Europa non è popolare e l'estrema destra del Fronte nazionale conquista consensi in vista delle amministrative dell'anno prossimo. E in questo scenario va collocata pure la recente, stizzita reazione di Hollande alle raccomandazioni della Commissione («non spetta a Bruxelles dettarci quello che dobbiamo fare»). Ma è altrettanto vero che il sistema di difesa dell'industria culturale francese, ed europea, costruito nel tempo da Parigi - dalle quote di diffusione di cinema e musica su televisioni e radio all'obbligo di finanziamento dei film fino al costoso meccanismo di cassa integrazione per i lavoratori dello spettacolo - ha consentito a un intero settore, creativo ma anche tecnologico, di non essere spazzato via dallo strapotere americano, e anzi di conoscere nuove opportunità di sviluppo. Un sistema che affonda le radici nel ministero della Cultura voluto da de Gaulle e guidato da Malraux.

«Non è d'altronde un caso - conclude la Bricq - se si parla di eccezione culturale e se il pacchetto culturale non è mai stato inserito in alcun negoziato commerciale». E se anche la Commissione dovesse decidere di andare avanti senza la Francia, Parigi fa sapere che metterà comunque il veto - e questo lo può fare sicuramente - all'approvazione del testo finale dell'accordo.

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