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Questo articolo è stato pubblicato il 14 giugno 2013 alle ore 07:20.

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L'eccezione culturale invocata dalla Francia per escludere l'industria audiovisiva dal negoziato di libero scambio tra Europa e Stati Uniti non aiuterà la cultura e neppure l'economia europea. La cultura nazionale non si protegge difendendosi da quanto proviene dal resto del mondo. E allo stesso modo le radici di un Paese si rafforzano quando la propria cultura oltrepassa le frontiere e si diffonde. E se si ragiona in termini economici, in qualunque negoziato commerciale un'eccezione ne genera un'altra.

Dunque, usando gli stessi argomenti della Francia, perché gli Stati Uniti non dovrebbero porre un'eccezione vinicola per proteggere i vitigni californiani dalle importazioni di Beaujolais o di Barolo?
Questo principio vale ancor più per l'Italia, che ha nella cultura probabilmente il proprio maggiore vantaggio comparato, ossia il bene esportabile con maggiore profitto.
Che significa esportabile? Non si può certo scambiare la Mole Antonelliana con l'Empire State Building. Ma che ne sarebbe del Museo del cinema ospitato dalla Mole Antonelliana senza le migliaia di visitatori stranieri? Oppure la straordinaria mostra del British Museum di Londra sulla vita quotidiana a Pompei ed Ercolano, non è forse un modo di esportare anche i nostri beni più intrasportabili?

La cultura, come da molto tempo sostiene con vigore questo giornale, ha bisogno di maggiori investimenti pubblici e privati e di una gestione attenta e intelligente. Il protezionismo è la via maestra per scoraggiare l'afflusso di risorse private. E per quanto riguarda i fondi pubblici, questo è comunque un ambito dove possono essere usati senza distorcere i mercati e i principi di libero scambio su cui si fonda un accordo commerciale.
Anche nella parte più commerciale della cultura, come appunto l'audiovisivo che tanto preoccupa i francesi, sussidi e investimenti pubblici hanno un senso perché questi prodotti generano un beneficio sociale a cui il mercato non è in grado di attribuire un prezzo.

Dunque non c'è bisogno di creare un'eccezione culturale, la cultura è già un eccezione in sé e qualunque accordo commerciale la deve trattare come tale. I francesi farebbero molto male se oggi al vertice europeo perseverassero nella miopia di bloccare un accordo che vale 86 miliardi di euro all'anno e molti posti di lavoro per una subdola difesa della cultura che non ha niente a che vedere con una vera alta politica culturale europea. Di questo avremmo invece proprio bisogno.

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TAG: Italia

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