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Questo articolo è stato pubblicato il 16 giugno 2013 alle ore 15:54.

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Il decreto "del fare" (operativo) e i disegni di legge che l'accompagnano (strada più lunga e incerta) possono essere considerati la prova documentale che l'economia italiana godrà presto di "sana e robusta costituzione", per stare alla formula del certificato appena abolito per le assunzioni pubbliche, maestri di sci, tabaccai e farmacisti?
Bisogna essere realisti. Quella del governo Letta non è una svolta-choc in grado di ribaltare le aspettative e scatenare gli animal spirits, oggi a terra, della settima potenza industriale del mondo. Siamo di fronte, piuttosto, a una serie di ragionevoli misure utili per imprese e famiglie. Il necessario (e obbligato in termini di agibilità finanziaria) per diradare la vaporosa flemma governativa delle ultime settimane e insieme per comprare il poco tempo indispensabile per fare della crescita - manovrando la leva fiscale - non un'ipotesi sulla carta, rigorosamente prevista e subito smentita a colpi di flessione della ricchezza nazionale, ma un dato di fatto.

Dagli appalti ai finanziamenti a tassi agevolati per l'acquisto di macchinari e impianti a uso produttivo. Dall'estensione del fondo di garanzia per le piccole e medie imprese allo stop del pignoramento della prima casa e alla nuova scaletta delle rateizzazioni che verrà imposta a Equitalia. Dal definanziamento parziale delle grandi opere (tipo Tav Lione-Torino e Terzo valico Milano-Genova, scelta d'impatto selettiva) per dare fiato a quelle minori già cantierate e cantierabili, alla spinta sull'Agenda digitale, a molte semplificazioni burocratiche e per finire al taglio di 500 milioni alla bolletta elettrica, sono diversi i provvedimenti interessanti.

Ne esce il profilo di una rete dove non spicca una super misura-bandiera ma che, se riuscirà ad essere tradotta in legge senza stravolgimenti, troppi interventi attuativi secondari e nei tempi più rapidi possibili (i disegni di legge sono un'incognita) potrà dare un contributo importante. Come si sa, di trappole, ritardi e resistenze nel cuore dello Stato è piena la storia passata e recente del riluttante riformismo italiano.
Da questo punto di vista, vanno salutati positivamente il ritorno della riscritta mediazione civile obbligatoria taglia-processi (di recente impallinata dalla Corte Costituzionale) e il travaso in un decreto governativo della risoluzione parlamentare, votata da tutti i partiti in Commissione Finanze della Camera, su un Fisco che abituato a imporsi sui sudditi dovrà fare ora meglio i suoi conti con i cittadini. Un caso raro di pratica collaborazione istituzionale nell'interesse di tutti.

Sullo sfondo restano i nodi della politica fiscale (col decreto, un segnale preciso attraverso la riduzione delle tasse sulla nautica, terreno sul quale perse molti punti il governo Monti), degli impegni politici sottoscritti tra Pdl, Pd e Scelta civica al momento della formazione del governo e delle incognite europee. Le risorse sono scarse, gli impegni da mantenere con l'Europa stringenti, le prospettive di estrapolare dal conteggio europeo del deficit gli investimenti produttivi non incoraggianti per la perdurante opposizione tedesca.


Il premier Enrico Letta ha riconfermato che non verrà oltrepassato il limite del 3% del deficit in rapporto al Pil e che verranno rispettate le raccomandazioni di Bruxelles indicate all'Italia al momento dell'uscita dalla procedura di infrazione per deficit eccessivo.

Il Pdl non demorde sull'abolizione dell'Imu prima casa (tranne le abitazioni di lusso) che costa 4 miliardi su base annua. Si sta discutendo se rinviare l'aumento dell'Iva che scatta dal 1° luglio (avrebbe contraccolpi negativi su famiglie e imprese ed effetti recessivi, ma il rinvio di 6 mesi costa 2 miliardi), imprese e sindacati (e Bruxelles, sullo sfondo) insistono sulla priorità di tagliare seccamente il cuneo fiscale sul lavoro.
Fin qui il governo Letta ha evitato di fare una scelta netta sulla politica fiscale e sono rimasti nell'ombra l'ipotesi di tagli alla spesa e la riduzione delle agevolazioni fiscali, 720 per un impatto di gettito pari a 254 miliardi.

È possibile che l'aumento dell'Iva venga rinviato di 3 mesi, mentre entro luglio dovrà essere pronta la revisione dell'Imu. Ma con la prossima legge di stabilità dovrà essere tutto chiaro, e significa che per quel tempo Letta dovrà aver già fatto una scelta. Precisa, sul modo in cui intende praticare la svolta pro-crescita.

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