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Questo articolo è stato pubblicato il 26 giugno 2013 alle ore 07:39.

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Il futuro dell'innovazione in Italia passa dalla sinergia tra risorse pubbliche e private. Parola di Giorgio Napolitano. Intervenendo alle celebrazioni per i 90 anni del Cnr, il presidente della Repubblica è tornato ieri a spendersi in favore della ricerca dopo le ripetute prese di posizione in materia del suo precedente settennato.

Per il capo dello Stato lo sviluppo della ricerca scientifica è «decisivo»; perciò è «essenziale» che sia aiutata dalle politiche pubbliche «mobilitando al massimo le risorse pubbliche e private che devono muoversi in sinergia tra loro». In quest'ottica un ruolo cruciale lo possono giocare «anche le istituzioni e le persone». Le «risorse umane che fanno ricerca» – ha aggiunto Napolitano – sono una straordinaria ricchezza per il nostro Paese. Per questo vanno garantite loro condizioni minime di serenità. A questo deve provvedere la politica di governo».
L'appello del Colle è stato condiviso da tutti gli altri partecipanti all'iniziativa. A cominciare dal ministro Maria Chiara Carrozza. Nel ricordare le recenti misure del "decreto del fare" – che consentiranno l'assunzione di 1.500 professori ordinari e altrettanti ricercatori grazie all'innalzamento del turnover dal 20 al 50 per cento negli atenei e negli enti di ricerca – la responsabile dell'Istruzione si è soffermata poi sulle prossime tappe. Come il pagamento entro l'anno, grazie alla collaborazione con l'Economia, di «400 milioni di debiti alle imprese relativi ai progetti di ricerca industriale». A cui dovrà seguire – ha evidenziato l'ex rettore della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa – una programmazione che metta a sistema i talenti nazionali, coinvolga quelli stranieri e crei le condizioni per richiamare i nostri ricercatori all'estero.

Per il ministro la scommessa sul talento si vince «con un sistema formativo votato all'inclusione». Ed è per questo – ha proseguito – che «vogliamo incoraggiare in ogni scuola e università d'Italia percorsi innovativi, insieme ai docenti e alle imprese». Provando anche a intercettare la domanda di innovazione. Da qui l'idea di lanciare una piattaforma dedicata a «premi per studenti, ricercatori e inventori, sul modello dei "challenge prizes" già diffusi in Nord America ed Europa». Una prassi che nel mondo anglosassone esiste da quasi tre secoli, da quando nel 1714 il Governo britannico lancio il "Longitude prize", e che è stata rinvigorita nei giorni scorsi dal primo ministro inglese James Cameron. In occasione della Conferenza per l'innovazione del G–8 a Londra, Cameron ha annunciato un "challenge prize" da un milione di sterline per chi individuerà e risolverà la principale sfida globale.
Il modello che i tecnici di viale Trastevere hanno in mente ci porta dritti al di là dell'oceano. In particolare, al portale www.challenge.gov che raccoglie i bandi di organizzazioni pubbliche e private statunitensi rivolti a studenti e ricercatori di tutto il mondo. E che il Miur vorrebbe replicare entro settembre costituendo un sito web ad hoc o utilizzando uno di quelli già esistenti (ad esempio Universitaly o Researchitaly). Dove raccogliere le proposte di premio avanzate (con proprio fondi e secondo i propri tempi) dalle Pa, dalla società civile e dalle aziende. Con l'obiettivo esplicito di presentare durante l'Expo 2015 i risultati delle migliori applicazioni.

Il bisogno di innovazione è in cima anche ai pensieri delle imprese. Come ha confermato da Diana Bracco. Durante il suo intervento di ieri al Cnr, la vice presidente di Confindustria per la Ricerca e Innovazione ha chiesto al governo di garantire maggiore credibilità agli strumenti economici a sostegno della ricerca. «Troppe volte - ha spiegato Bracco - gli annunci a favore della ricerca sono rimasti tali e alle leggi non hanno fatto seguito i regolamenti attuativi». Oggi c'è «bisogno di una logica nuova: gli strumenti di sostegno alla ricerca, quali il credito di imposta e il finanziamento diretto ai grandi progetti strategici, devono diventare credibili nelle modalità e nei tempi di applicazione». E, a suo giudizio, già proseguire e rafforzare l'esperienza dei cluster sarebbe un primo segnale in tal senso. Magari insieme al superamento di quel disguido tipicamente italiano che porta a considerare «le risorse dedicate a ricerca e innovazione un costo e non un investimento».

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