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Questo articolo è stato pubblicato il 06 luglio 2013 alle ore 10:14.

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L'enciclica Lumen fidei (Ansa)L'enciclica Lumen fidei (Ansa)

All'interno del lessico teologico si è soliti distinguere tra fides qua creditur e fides quae creditur. La prima formulazione (qua, ablativo) indica la fede con cui si crede, la seconda (quae, nominativo) si riferisce a quanto è creduto. In altre parole, un tipo di fede si riferisce all'atto di credere, mentre l'altro concerne prevalentemente i contenuti dottrinali. Per la visione cristiana entrambe le componenti sono fondamentali (cfr. Lumen fidei, 40); tuttavia, a seconda che si accentui maggiormente l'uno o l'altro di tali aspetti, il senso del credere è presentato in modo significativamente diverso.

Altrettanto frequente è citare un verso della Lettera agli Ebrei (Eb 11,1) in base al quale "la fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono" (parole rese familiari anche grazie alla loro riscrittura dantesca: "Fede è sustanza di cose sperate / e argomento de le non parventi / e questa pare a me sua qui-ditate" Paradiso, xxiv, 64-66; cfr. Lumen fidei, n. 4). A uno sguardo superficiale potrebbe sembrare che la frase graviti nell'ambito della fides quae, vale a dire che sia orientata verso contenuti, posti nella sfera dell'invisibile, e a cui si accede mediante il credere in quanto impossibili da conoscere appieno per mezzo della ragione umana.

In realtà queste parole sono poste all'inizio di un capitolo, l'undicesimo, tutto incentrato sulla "storia della salvezza" (cfr. per es. Lumen fidei, nn. 14, 28, 38; 50, 51, 56); e proprio questo brano risulta il riferimento biblico più tenuto presente in tutta l'Enciclica firmata da Papa Francesco.

Parlare di "fede come fondamento delle cose che si sperano" è non una definizione, ma una premessa che si dipana e si concretizza nel ripercorrere una lunga catena di credenti. Si inizia con Abele, per poi passare attraverso una nutrita serie di personaggi ed eventi biblici estesi fino alle soglie del tempo in cui visse Gesù. Sono nominati Enoc, Noè, Abramo, Sara, Giacobbe, Giuseppe, Mosè, implicitamente Giosuè, Raab; sono elencati Gedeone, Barak, Sansone, Iefte, Davide, Samuele, i profeti e i martiri. Tutti quei credenti furono mossi dalla fede, tutti furono approvati; nessuno, però, ottenne pienamente quanto loro promesso (Eb 11,39); proprio in ciò la fede è sostanza delle cose sperate e prova di quel che ancora non si vede. Questo "tutti" sembra indicare, a differenza di quanto sostiene l'Enciclica (cfr. n . 35), che in Ebrei non ci siano gli estremi per distinguere nettamente tra i giusti vissuti prima di Abramo e la storia della fede che inizia con il Patriarca, né pare che in esso si possa sottolineare in modo particolare l'aspetto caritativo connesso all'edificazione della città (cfr. tutto il capitolo IV della Lumen fidei).

La fede è un cammino, anzi, un corsa in avanti (Eb 12,1); ciò, aggiunge l'estensore della lettera, vale anche per noi che teniamo lo sguardo fisso verso Gesù "autore e perfezionatore della fede" (Eb 12,2; l'Enciclica - richiamando implicitamente Eb 5,7-10 - rende il verso con "dà origine alla fede e la porta a compimento"1). Come intendere queste affermazioni? Di nuovo si apre l'alternativa se leggerle, in primis, sotto l'angolatura dellafides quae, in questo caso l'"evento Gesù Cristo" sarebbe l'oggetto fondamentale della fede; oppure le si può comprendere alla luce dellafides qua in base alla quale Gesù è modello perfetto della fede in quanto anch'egli lui ebbe e la suscitò in altri nel momento in cui questi ultimi si incontrarono con lui. Che Gesù avesse fede è negato in modo esplicito da Tommaso d'Aquino nella Summa theologiae (iii, q. 7, a.3). Il ragionamento da lui proposto consiste nel fatto che l'ambito della fede, come ogni altro, riceve la sua specificazione dal proprio oggetto, perciò una volta tolta la non evidenza delle realtà divina viene meno, ipso facto, la fede; ma Cristo, fin dall'istante del suo primo concepimento, "ebbe piena visione dell'essenza di Dio", perciò in lui non avrebbe potuto esservi fede. Sia pure riferendosi a un ambito diverso da quello della "visio beatifica", anche la Lumen fidei, del resto, sostiene di conformarsi al modo di vedere di Gesù e non alla sua maniera di credere (cfr. Lumen fidei, n. 18).

Rispetto alla formula del concilio di Calcedonia che presenta Gesù Cristo come vero Dio e vero uomo, la classica riflessione teologica relativa alla fede di Gesù - o meglio alla sua mancanza - fa prevalere il primo termine. Al riguardo l'Enciclica non pare fare eccezione: in essa non si fa alcun riferimento a Gesù presentato come "colui che crede". Tuttavia, nel primo secolo, alcune comunità cristiane hanno scelto, non senza audacia, di rendere il genere biografico "vangelo" via privilegiata per confermare e far maturare la propria fede. Da allora la vita umana del Signore Gesù è parte costitutiva del credere. In essa non può non aver spazio anche la fede, tanto di Gesù quanto di chi si incontrò con lui. Né a smentire ciò basta il fatto che nei Vangeli il verbo credere non ha mai come soggetto esplicito la persona di Gesù.

Nei Vangeli vi è un'espressione che ricorre più di una volta: "la tua fede ti ha salvato" (cfr. per es. Mc 5,34; 10,52; Mt 15,28). La salvezza qui non si riferisce alla vita eterna, né siamo di fronte ad alcuna esplicita fede in Gesù Cristo. Si tratta di un detto di Gesù rivolto a colui che ha conquistato la propria guarigione. È una fede di cui non si specifica l'oggetto; non si tratta di credere in qualcosa, al più è un affidarsi a qualcuno. Siamo di certo più prossimi a un atto di fiducia, a un fidarsi proprio nell'accezione biblica dell'ebraico 'emunah ("fede", la stessa radice di amen; cfr. Lumen fidei, n. 10); ma non è neppure solo così. Se le cose stessero unicamente in questo modo, Gesù avrebbe detto parole del tipo: la tua fede ha meritato che io ti guarissi. La frase va in altra direzione; infatti sembra piuttosto imparentarsi con la dinamica in base alla quale il medico non può curare nel caso in cui il paziente non manifesti concretamente la propria volontà di guarire. Ciò vale anche per l'incontro con Gesù.

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