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Questo articolo è stato pubblicato il 05 luglio 2013 alle ore 10:12.

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Certo sono lontani i tempi in cui Fausto Bertinotti, da poco eletto presidente della Camera, stupì l'opinione pubblica con parole di elogio pubblico a Sergio Marchionne «borghese buono su cui puntare». Il manager del Lingotto aveva denunciato, nel suo primo discorso pubblico, che il problema della Fiat non era il costo del lavoro, una minuzia rispetto al peso delle inefficienze della rete distributiva e della produttività complessiva degli impianti.

Bertinotti invitava Liberazione a pubblicare quel testo e lo esibiva in ogni intervista come testimonianza vivente della possibile "convergenza parallela" tra lavoro e capitale: «Marchionne parla della risposta ai problemi dell'impresa non scaricandola sui lavoratori e sul sindacato, ma assumendola su di sé».

Ovviamente quell'idillio durò poco e non si tradusse mai nella rivoluzione post-capitalista – magari a trazione imprenditoriale – auspicata dal leader di Rifondazione comunista. Era esagerata la "laude" così come è esagerata oggi la "critica" che, per iscritto, la nuova presidente della Camera, Laura Boldrini, ha affidato alla nota con cui ha declinato l'invito di Sergio Marchionne a visitare gli impianti della Sevel in Val di Sangro. Toni istituzionali fino a quel «affinché il nostro Paese possa tornare competitivo è necessario percorrere la via della ricerca, della cultura e dell'innovazione, tanto dei prodotti quanto dei processi. Una via che non è affatto in contraddizione con il dialogo sociale e con costruttive relazioni industriali: non sarà certo nella gara al ribasso sui diritti e sul costo del lavoro che potremo avviare la ripresa». Laura Boldrini ha ricevuto una settimana fa la delegazione Fiom, ma non visiterà gli impianti di cui quei delegati le hanno parlato.

Marchionne ha una strategia industriale e la persegue anche con asprezza discutibile (compresa l'uscita plateale dalla Confindustria) e con un senso degli interlocutori forse mai pari a quello di sè. Anche le fasi più acute della battaglia sindacale con la Fiom sono alle spalle: un importante accordo interconfederale ha creato la cornice normativa in cui riscrivere le regole su chi deve contare nei luoghi di lavoro, Fiom compresa. La sentenza della Consulta di mercoledì ha dato ulteriore valore a quell'accordo.

La strategia del Lingotto, però, non è mai stata quella di portare gli standard della Polonia (o del Brasile) in Italia, ma certo quella di aumentare la produttività delle linee italiane, anche passando dal cambiamento di (cattive) abitudini come l'assenteismo anomalo a ridosso dei week end in alcuni stabilimenti o l'incomprensibile en plein di permessi elettorali in altre fabbriche. Nel frattempo la Fiat ha distribuito 480 euro annui di aumento agli 86mila addetti con un accordo ponte che deve traghettare il gruppo dal vecchio contratto metalmeccanici a quello futuro del settore auto. Nel frattempo è stato esteso a tutto il gruppo anche il fondo sanitario integrativo compresa una polizza per la copertura in caso di non autosufficienza.

Si chiama welfare aziendale e non sembra davvero la strada che percorre, in genere, chi cerca la scorciatoia della riduzione dei diritti o del costo del lavoro. Per chi ha ruoli di garanzia il "conoscere per deliberare" deve essere una religione. Ma non si "conosce" davvero se ci si ferma alle considerazioni di una parte sola.

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