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Questo articolo è stato pubblicato il 12 luglio 2013 alle ore 06:43.

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Ci vuole concorrenza nella Ue ma solo se dà vantaggi a tutti i Paesi



Da anni parliamo di integrazione europea e lei ne scrive da par suo. Da anni cerchiamo di mettere in comune le politiche degli Stati. Da anni abbiamo problemi legati alla ritrosia delle nazioni a cedere sovranità. E se provassimo, fermo restando una cornice unica e un insieme di indirizzi comunitari, con il metodo opposto. Invece che più integrazione tra gli Stati, serve più competizione e concorrenza tra gli Stati. Come ha scritto Otmar Issing sul Sole 24 Ore di domenica.
Adriano Cardellini
Gentile Cardellini,
se non ci fossero l'euro e l'unione monetaria, sottoscriverei al 100% la sua idea. Sono invece da sempre convinta che una moneta unica per funzionare ha bisogno anche di un'unione economica e politica. Detto questo non condivido affatto il modo in cui questa integrazione economica sta avvenendo, via fiscal compact, 6-pack e 2-pack, in parole povere attraverso la germanizzazione strisciante ma sempre più cogente delle economie europee che partecipano all'euro. Tra l'altro sono anche convinta che, di questo passo, se non si cambierà strada, prima o poi la corda dell'euro finirà per spezzarsi, anche perché il processo avviene senza il necessario consenso democratico. Non a caso in un clima di euroscetticismo e anti-europeismo crescenti.
Nell'ottica di un riequilibrio di poteri, di ideologie e di modelli tra i 18 Paesi del club (risanati e di nuovo competitivi), la competizione tra le economie non può essere che salutare per tutti. Tra l'altro avrebbe per esempio il grande vantaggio di far scendere il peso del fisco in Europa, riallineandola finalmente alla situazione prevalente nella maggiori economie globali. La verità è che molte armonizzazioni, tutte fatte ormai in salsa tedesca, fanno molto comodo alla Germania che oggi non solo lucra sui guai altrui (in primis con i mini-tassi) ma è in grado di fissare le regole che più sono consone ai suoi interessi industriali, atterrando così alla radice la concorrenza dei partner, laddove sgradita. Emblematica la battaglia in corso sui nuovi standard ecologici per l'auto europea. Conclusione: la concorrenza ci vuole, purché sia vera e valida per tutti. E purché indirizzata a un'integrazione economica che sia a vantaggio di tutti e non solo di pochi.
L'area ex Radicifil
In merito all'articolo "Pistoia respinge Repower: il progetto salta sul traguardo", pubblicato sul Sole 24 Ore del 3 luglio si sottolineano alcuni aspetti. Rispetto alla decisione dello scorso aprile di non accogliere il progetto presentato da Repower per la realizzazione di una centrale a turbogas a Pistoia, nell'area ex Radicifil, precisiamo che il protocollo sottoscritto il 28 luglio 2010, da Repower, enti locali, Regione Toscana e sindacati, prima della presentazione formale del progetto, intendeva affrontare la crisi occupazionale causata dalla chiusura della Radicifil promuovendo la reindustrializzazione dell'area. Nell'aprile 2011, con la Via, Comune e Provincia hanno sospeso ogni approfondimento in attesa che si concludesse l'esame regionale che, dopo un iter appesantito dalla richiesta di sospensione dell'azienda per recuperare carenze progettuali, non ha risolto molti nodi e ne ha evidenziati di nuovi. Tra questi, la classificazione idraulica dell'area, con l'effetto di incrementare i volumi di acqua da stoccare nella cassa di espansione. L'invaso avrebbe dovuto interessare l'area di pertinenza autostradale, ma nel dicembre 2012, Autostrade Spa ha espresso parere negativo. Il progetto presentava carenze nel rapporto con la città dal momento che la società aveva ipotizzato di utilizzare il calore prodotto dalla centrale per riscaldare, prima, le serre delle imprese vivaistiche - il settore non ha serre in zona - e poi il nuovo ospedale di Pistoia - che è autosufficiente. La Via non ha risolto le preoccupazioni relative alla complessiva sostenibilità di una simile attività per il territorio, già provato sotto il profilo ambientale. Rimane fermo il nostro impegno a dare risposta ai problemi occupazionali apertisi con la chiusura della Radicifil e la disponibilità a ulteriori confronti su basi diverse, intorno al futuro dell'area.
Federica Fratoni
presidente della Provincia di Pistoia
Samuele Bertinelli
sindaco di Pistoia
Comune e Provincia di Pistoia confermano di aver impiegato tre anni di tempo (da luglio 2010 ad aprile 2013) per dire no a un investimento da 90 milioni di euro. Un tempo insostenibile per un'impresa, tanto più se straniera. (si.pi.)

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