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Questo articolo è stato pubblicato il 24 luglio 2013 alle ore 07:51.
L'ultima modifica è del 24 luglio 2013 alle ore 08:36.

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Che cosa si può fare concretamente per affrontare e risolvere la recessione nel campo dell'innovazione e la crescente disuguaglianza sociale che a essa si accompagna? Indubbiamente, si possono prendere provvedimenti efficaci e mirati alla risoluzione di determinate disuguaglianze. Mettere a disposizione dei datori di lavoro alcuni sussidi per assumere lavoratori a basso reddito è sicuramente un provvedimento che si potrebbe prendere per porre rimedio a una disuguaglianza particolarmente grave. Non c'è tuttavia modo di ripristinare quel senso di uguaglianza che prevalse alla fine degli anni Sessanta senza porre rimedio ai mali stessi che hanno fatto sì che quelle disuguaglianze si allargassero: la contrazione dell'innovazione di alto livello a una manciata di aziende e il conseguente rallentamento della crescita economica al ritmo di una lumaca.

Sono convinto che un ritorno alla crescita della produzione e a un'inclusione economica ampia come in passato richiederà niente di meno che un revival di quel vigoroso dinamismo che ha puntellato quella performance.

Questo indispensabile risveglio richiederà una riforma del settore finanziario e del settore imprenditoriale. Nel settore finanziario è basilare porre fine alla pianificazione a breve termine che indebitamente fa sì che ci si concentri sul raggiungimento di obiettivi di rendimento trimestrali invece che puntare su una redditività e una crescita sul più lungo periodo. La dipendenza degli istituti finanziari dalla liquidità ha reso meno attraente il prestito alle imprese, mentre la dipendenza da investimenti diversificati ha lasciato molte poche istituzioni finanziarie desiderose di fare soldi come ai vecchi tempi, di prestare capitali o investire in progetti finalizzati alla realizzazione di nuovi prodotti o nuove tecniche.

Nel settore delle imprese, è indispensabile porre fine alle lotte interne alle aziende affermate, alla miopia dei dirigenti che sanno di avere soltanto un numero limitato di anni nei quali raggranellare il massimo dei bonus che riescono a mettere insieme. Una migliore vigilanza sul comportamento delle aziende da parte dei consigli di amministrazione e degli enti di regolamentazione del governo è pertanto fondamentale anch'essa.

In ogni caso molto poco di ciò si concretizzerà, e tutte le riforme pubbliche potranno essere messe seriamente a repentaglio, qualora venisse a mancare un più ampio avallo della vecchia etica dell'inventiva, della ricerca, della sperimentazione e della scoperta. È proprio quella l'etica che ha gettato le premesse per il grande benessere della classe media americana negli anni del dopoguerra. E senza quel risveglio, per quanto il governo possa intervenire non riuscirà a ricomporre completamente il divario sempre più crescente in fatto di disuguaglianze sociali che il rallentamento nel campo dell'innovazione ha contribuito a creare.

Edmund S. Phelps, premio Nobel per l'Economia, dirige il Center on Capitalism and Society alla Columbia University
(Traduzione di Anna Bissanti)

L'articolo è uno stralcio dell'analisi Less innovation, more inequality, pubblicata sul New York Times, e sul sito web è disponibile nella versione integrale

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