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Questo articolo è stato pubblicato il 24 luglio 2013 alle ore 08:00.
L'ultima modifica è del 24 luglio 2013 alle ore 08:32.

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Il provvedimento di espulsione del governo panamense nei confronti di Robert Seldon Lady, il capo della stazione Cia di Milano condannato in Italia per l'affaire Abu Omar e inseguito da un mandato di cattura internazionale, ha levato il nostro Paese da un imbarazzo. Panama, forse poco allettato dall'idea di aprire un conflitto politico-giudiziario con gli Stati Uniti, ci ha tolto le castagne dal fuoco. In assenza dell'iniziativa panamense, l'Italia avrebbe dovuto decidere entro 60 giorni dal fermo se richiedere o no l'estradizione e, come è facile immaginare, una simile grana era l'ultima cosa che il governo potesse desiderare.

Si archivia così una vicenda penosa legata alle “renditions”, il rapimento al di fuori del territorio americano di persone sospettate di terrorismo: una delle pratiche più controverse e odiose messe in atto dall'Amministrazione Bush. Abu Omar, iman egiziano radicaleggiante di una “moschea” milanese, fu non solo rapito ma anche torturato dai sevizi segreti del Cairo, ai quali la Cia lo consegnò con lo scopo di non sporcarsi direttamente le mani, lasciando che altri facessero quel tipo di lavoro. Un atteggiamento che univa alla flagrante violazione delle leggi internazionali e della Costituzione americana (e di molti principi etici) un'ipocrisia cinica. Oltre tutto, neppure i metodi umilianti e violenti con cui Abu Omar fu interrogato in una prigione segreta del Cairo consentirono di trovare alcuna “prova” a sostegno di sospetti e indizi, al punto che l'iman fu rilasciato e rispedito nel nostro Paese.

Le “extraordinary renditions” hanno rappresentato un caso in cui è emersa la determinazione americana a perseguire l'interesse nazionale anche in aperta violazione delle leggi internazionali. Una prassi sempre adottata, ma ancora più liberamente praticata ogni volta si ritenga siano coinvolte la sicurezza nazionale e la lotta al terrorismo.

La recente vicenda Snowden non si discosta dal copione. La battuta del presidente Clinton – “in politica estera gli Stati Uniti agiscono multilateralmente quando possono e unilateralmente quando devono” –potrebbe ben riassumere l'atteggiamento standard tenuto da Washngiton nei confronti della legalità internazionale. Ed è valida per ogni amministrazione, a prescindere dal colore politico. Il fatto che l'«operazione Abu Omar» fosse stata ideata, autorizzata e condotta sotto l'egida di una precedente presidenza, lontana politicamente dall'attuale, sarebbe stato irrilevante nel condizionare l'atteggiamento dell'Amministrazione Obama di fronte a una richiesta di estradizione presentata dalle autorità italiane. La copertura politica delle azioni intraprese da funzionari della sicurezza nazionale è un principio al quale nessuna Amministrazione è mai venuta meno. Per cui, chiedendo la consegna dell'agente, l'Italia avrebbe aperto un contenzioso con gli Usa. È una semplice questione di “livelli di responsabilità” o, meglio, dei livelli di responsabilità messi in campo in questioni come questa.

Nelle scorse settimane anche l'Italia è stata al centro di un caso di “rendition”: quella che ha riguardato il rimpatrio forzato con irrituale veemenza e tempestività di Alma Shalabayeva, moglie del “dissidente” kazako Mukhtar Ablyazov, e della loro figlioletta Alwa. Qui la copertura politica dei funzionari non è scattata: anzi, abbiamo assistito alla plateale dissociazione e semmai alla copertura al massimo livello istituzionale dell'«irresponsabilità» del livello politico. Qualcosa di simile si era già verificato sul versante italiano del caso dell'iman egiziano, quando i vertici dei servizi segreti (Nicolò Pollari e Marco Mancini) erano stati condannati a pene detentive, mentre era stata data per buona la tesi che il livello politico fosse stato all'oscuro dell'intera operazione.

Quello che lascia sempre “un tantino esterrefatti” è apprendere che le “rendition” di cui l'Italia si fa complice o artefice siano sempre decise dai funzionari. Così come sconcerta che la violazione delle norme in nome di una presunta “ragion di Stato” appaia più orientata a tutelare gli interessi di Paesi amici o di fornitori strategici di risorse energetiche piuttosto che il solo nel nome del quale si potrebbe invocare una deroga straordinaria: l'interesse nazionale dell'Italia. Un'applicazione maldestra del realismo politico e della sua nobile e antica tradizione, tanto più nel Paese che ha dato i natali a Niccolò Machiavelli, del cui “Principe” celebriamo il cinquecentenario, ma della cui saggezza politica siamo pessimi interpreti.

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