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Questo articolo è stato pubblicato il 12 agosto 2013 alle ore 08:20.
L'ultima modifica è del 12 agosto 2013 alle ore 08:37.

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Solo una settimana fa, abbiamo potuto constatare come l'intervento giudiziario sembri ormai l'unico rimedio esistente per rimuovere un amministratore o un politico, anche se indeboliti da pendenze processuali o discutibili frequentazioni. Nel nostro Paese – scrivevamo – se una toga non batte un colpo, nessuno protesta, nessuno s'indigna, nessuno provvede. Lo stesso sembra purtroppo accadere anche in altri campi, magari fortemente regolati perché importanti per tutti i cittadini, dove tuttavia la capacità di reazione appare annebbiata quando non assente.

A Caltanissetta, segnala il Comitato professionisti liberi, l'ingegnere P.D.V. è in attesa di un verdetto definitivo dopo essere stato processato (e già condannato in appello) per reati molto gravi come estorsione nei confronti dei dipendenti e intestazione fittizia di beni; è inoltre ritenuto molto vicino a boss quali Angelo Siino e pochi mesi fa è stato confermato anche il maxi-sequestro da lui subìto (280 milioni). Ebbene, a fine luglio l'ingegnere è andato tranquillamente a votare per gli organismi dirigenti dell'Ordine nisseno, come un qualunque iscritto all'Albo. Ancora in Sicilia: nell'aprile 2013, risultava iscritto all'Ordine dei medici di Agrigento il dottor D.M., condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. Da fine 2012 il medico sta scontando a Rebibbia la sentenza definitiva, ma il procedimento disciplinare a suo carico non è ancora concluso.

Spostiamoci a Milano dove, nel 2009, si è celebrato il processo ai "calabresi" che si erano incistati nelle attività edilizie dell'hinterland. In aula è stato un susseguirsi di professionisti, commercianti, amministratori, costruttori, tutte persone rispettabili che la paura o la convenienza hanno trasformato in testi muti, smemorati, reticenti. Anche se in istruttoria, nel chiuso della Procura, avevano persino ringraziato gli inquirenti per aver neutralizzato i rampolli di famiglie di 'ndrangheta. Tra questi testimoni l'architetto M.E., direttore lavori di un grande complesso a Buccinasco, che davanti alla corte glissa, dice e non dice, anche se è costretto ad ammettere la propria leggerezza per non aver ostacolato certe figure prepotenti e minacciose. Eppure, redarguito dal presidente e sull'orlo della falsa testimonianza, l'uomo non si scusa né fa ammenda. Niente di penalmente rilevante, ma sconcerta che ancora oggi quell'architetto sia ai vertici dell'Ordine di Milano, la capitale dell'Expo, e anche a capo di commissioni che valutano i progetti dei giovani ai primi passi della carriera.

Sono casi allarmanti. Perché non si tratta di cittadini qualunque, ma di figure che "pesano", che gestiscono denaro (anche pubblico), muovono leve delicate. E non si comprende perché i colleghi, i responsabili, i controllori facciano finta di non vedere, sfruttando ogni varco per rinviare ogni azione anche vagamente sanzionatoria. Nei Paesi più efficienti (e perciò in posizioni più accettabili della nostra nelle graduatorie di Transparency), esistono meno finte regole e meno leggi complicate, ma una più diffusa sensibilità per l'onore e il bene pubblico: così, certi comportamenti non fanno molta strada, anche senza il segnale proveniente dal tintinnare di manette.

ext.lmancini@ilsole24ore.com
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