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Questo articolo è stato pubblicato il 13 agosto 2013 alle ore 06:45.

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Negli ultimi anni l'Italia ha "regalato" almeno 2,5 miliardi agli altri Paesi europei per la ricerca e l'innovazione di cui abbiamo tanto bisogno. Questo è il magro bilancio del nostro Paese nella caccia ai fondi Ue del settimo programma quadro per la ricerca che dal 2008 fino a luglio scorso ha stanziato oltre 40 miliardi. In pratica ogni anno è come se avessimo consegnato tra i 400 e i 500 milioni ad alcuni dei nostri principali competitor per fare conoscenza nei loro centri di ricerca, negli atenei o nelle imprese.

Il nostro tasso di successo nell'accesso ai bandi Ue finanziati anche con le nostre tasche è dell'8,27% - in lieve calo rispetto a quello di un anno fa (8,43%) - contro una partecipazione al bilancio Ue che vede l'Italia mettere una quota che vale quasi il 14%. Si può dire che finanziamo con i nostri soldi la ricerca degli altri. E se le cose non cambieranno l'Italia nei prossimi 7 anni rischia di perdere in favore degli altri membri dell'Unione una fetta di almeno 3,5 miliardi del programma Horizon 2020 che metterà in palio circa 70 miliardi.

I numeri sulle nostre performance certo non esaltanti arrivano dall'ultimo monitoraggio realizzato dal ministero dell'Istruzione, Università e ricerca che ha aggiornato i dati al 31 luglio. Mostrando ancora una volta questo trend non positivo che già l'ex ministro Francesco Profumo e ora Maria Chiara Carrozza vogliono invertire. Alla fine siamo comunque il quarto Paese tra i 27 dell'Unione a incassare più fondi, dietro Germania, Inghilterra e Francia. Questo non giustifica lo sbilanciamento tra quanto finanziamo e quanto otteniamo per fare ricerca qui da noi, magari con team internazionali ma con la regìa italiana. Basti citare tra i big l'esempio dell'Inghilterra che l'anno scorso a fronte di un finanziamento al bilancio Ue dell'11,95% ha conquistato il 14,55% dei fondi per la ricerca. Oppure l'Olanda che quasi raddoppia incassando il 6,73% del budget per la ricerca contro il 3,95% di finanziamento a Bruxelles. Noi invece sui 40 miliardi messi in palio finora ne portiamo alla fine a casa circa 3,5 miliardi, poco più dell'8% appunto. L'obiettivo del ministro è ottenere finanziamenti almeno pari ai nostri contributi.

Tra l'altro guardando ai ranking delle proposte presentate spicca un dato evidente. Che siamo spesso ai primissimi posti per numero di proposte presentate a Bruxelles, ma poi il tasso di successo dei progetti presentati si abbassa, segno che spesso i nostri enti di ricerca non riescono a fare squadra con altri enti, atenei o imprese. L'Italia paga anche il fatto che molti bandi Ue non sembrano tagliati per il nostro sistema di ricerca. Da qui lo sforzo di creare bandi e programmi italiani che facciano da palestra per poi competere meglio in Europa: è il caso, a esempio, dei recenti bandi sui cluster o sulle smart cities. Va segnalato il fatto positivo che quando è un italiano a coordinare un progetto siamo più bravi a spendere i fondi.

Le performance cambiano a seconda dei settori dei bandi. Siamo carenti in alcuni settori strategici: è il caso della ricerca su salute e biotecnologie dove le nostre percentuali di fondi incassati sono al 7,3% e 7,4%. Andiamo male nella ricerca libera - il programma "Ideas" gestito dal Consiglio europeo della ricerca - dove il nostro Paese ha ottenuto solo 352 milioni (il 5,5%) dei 6,4 miliardi stanziati finora. Andiamo meglio in altri settori come Ict, nanotecnologie, trasporti, spazio ed energia. Questo settore insieme a quello della ricerca sullo spazio (+2,6%) è l'unico in cui miglioriamo rispetto al passato. Gli altri sono quasi tutti in calo.

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